Cinema

Nel nome del figlio: Daniel Day-Lewis torna in pubblico a Roma con il secondogenito Ronan

Padre e figlio sono stati osannati tanto dai ragazzi di Alice nella Città, quanto da ogni generazione dell’affollato Auditorium della Conciliazione, vip inclusi

di Anna Maria Pasetti

L’aveva dichiarato chiaro e tondo Daniel Day-Lewis che avrebbe parlato al pubblico solo se in coppia con suo figlio Ronan e così è stato. Giunti a Roma per presentare ad Alice nella Città in prima italiana Anemone, esordio alla regia del figlio con il padre protagonista, Day-Lewis Senior & Junior sono stati protagonisti di un doppio incontro: un Q&A alla fine della proiezione di venerdì sera e una Masterclass sabato pomeriggio.

Somiglianti fisicamente, nei modi gentili, nella profondità di approccio a ogni questione e solo diversi nell’accento con quello di Ronan più “americanizzante” rispetto al sempre oxfordiano Daniel, padre & figlio sono stati osannati tanto dai ragazzi di Alice nella Città, quanto da ogni generazione dell’affollato Auditorium della Conciliazione, vip inclusi. Perché inutile è girarci intorno: rivedere Daniel Day-Lewis recitare in un film dopo 8 anni di assenza alla base dei quali ci fu l’annuncio “ufficiale” del ritiro da ogni set verso una pacifica vita da pensionato, è un evento maiuscolo. E ancor di più vederlo di persona che dialoga col pubblico insieme, naturalmente, al figlio maggiore.

“Ronan ed io abbiamo sempre fatto cose creative insieme, fin da quando era piccolo. Quando è nato il desiderio in entrambi di scrivere una sceneggiatura a quattro mani, siamo stati felicissimi”, spiega papà Daniel cui il 27enne figliolo reagisce annuendo e sottolineando di essere stato intrigato dall’archetipo della fratellanza, avendo lui due fratelli e conoscendone le modalità comunicative.

E Ronan, che è doppiamente figlio d’arte (la madre è la regista Rebecca Miller) ma anche plurimo nipote e pronipote d’arte (tra i vari antenati degni di nota, il nonno materno era Arthur Miller), con un passato da pittore di talento si è “scoperto” agli occhi paterni quale regista di spessore e personalità, al punto da indurre Daniel a non accostarlo ad alcuno dei grandi maestri per i quali ha recitato e vinto ben 3 Oscar: “Ronan assomiglia esattamente a se stesso. Ha avuto la capacità di transitare da un’arte solitaria come la pittura a una collettiva come il cinema, l’ho visto in grado di guidare troupe e cast e di mettersi in ascolto di ciascuno con apertura e intelligenza”. Un complimento di non poco conto quello espresso dall’immenso attore britannico-irlandese a cui, nuovamente, il figlio risponde con sincera stima: “Sapevo che mio padre era un maniaco nell’arte della recitazione, l’ho visto tante volte sui set, ma quando è apparso sul set del nostro film ho notato una cosa che non conoscevo: la sua generosità con tutti. Lui non vuole emergere sugli altri, lui vuole immergersi con gli altri nella magia del racconto per immagini”.

Un racconto per immagini quello di Anemone (dal 6 novembre nelle sale per Universal) che è apparso tutt’altro che scontato nella sua cura per la scrittura, la messa in scena “pittorica”, i personaggi, specie i loro complessi background. Dotato di temi importanti quali i rimorsi, la colpa, la famiglia disgregata, la fuga, la vergogna, ma soprattutto il senso della fratellanza e della paternità, il dramma dei Day-Lewis si offre in una forma imponente soprattutto grazie all’ausilio degli elementi naturali estremi quali metafora del sentire umano e delle lunari scene oniriche. E Daniel – nel ruolo del solitario Ray dal passato misterioso, recluso nel cuore di un verdissimo bosco – è oltremodo superlativo, regalando al sangue-del-suo-sangue una interpretazione indimenticabile.

La speranza è che non si tratti di un ritorno “one shot”, ma sia l’inizio di un rientro in grande stile nel mondo del cinema che tanto ha sentito la sua mancanza.

Una curiosità sul finale: il film preferito di Ronan interpretato dal padre? “Il petroliere”. E per Daniel? “Non lo dirò mai”.

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