Cinema

Bombolo, core de Roma: il documetario sul comico che trasformò il popolare in arte

L'opera di Stefano Calvagna racconta la vita e la comicità di Franco Lechner, l’attore romano celebre per il suo irresistibile “Tzé tzé”, tra amici, osterie e gag che hanno fatto ridere generazioni.

di Davide Turrini
Bombolo, core de Roma: il documetario sul comico che trasformò il popolare in arte

“Tzé tzé”. Difficile che nel bagaglio di insegnamenti delle accademie di recitazione esista un suono onomatopeico come quello che si inventò Bombolo. Franco Lechner, sette generazioni romane ma con cognome lanzichenecco, tormentone impossibile piagnucoloso e irresistibile, è il protagonista evocato con garbo, in amicizia, tutto tavolate all’osteria, di Bombolo core de Roma.

Il documentario di Stefano Calvagna (Non escludo il ritorno), in queste ore alla Festa di Roma, ripercorre succinti cenni biografici dell’attore comico che nel breve volgere di un decennio (1976-1986) interpretò una abbondante manciata incredibilmente popolare di film. Oreste Lionello, suo compagno di scena al Bagaglino, scherza, modello intellò che scopre il valore della commedia e cerca la spiegazione dotta, proprio con Bombolo seduto di fianco, in un filmato dei primi anni ottanta, definendolo un “concentrato naif della mimesi ancestrale”. Di certo, almeno per come lo racconta Calvagna, Bombolo era una persona semplice.

In Bombolo core de Roma non troverete la classica carrellata di star a ricordare quanto era bravo, simpatico, intelligente Lechner. Anzi, proprio di star non ce n’è nemmeno una. In scena ci sono gli amici di Franco, osti che ne hanno saziato la fame pantagruelica, caratteristi del cinema e due dei suoi figli Alessandro e Stefania che tornano sui passi di babbo quando “ponticiano” tirava la carretta abusiva da stracciarolo per vendere piatti e bicchieri tra le strade romane.

“Il suo bagno era la fontanella”, spiega Stefania indicando la fontanella che in strada ancora oggi permane, nello specifico quella di fronte al portone di casa di Lechner in via Monte Giordano. Ed è incredibile come nel giro di nemmeno cinquant’anni, oltretutto, la Roma trasteverina sia mutata architettonicamente e urbanisticamente in qualcosa di ben poco popolare. La grata a pianterreno dove Bombolo si aggrappava, in una gag che regalava agli astanti dicendo “ora m’ammazzo”, è rimasta: ma tutto attorno Roma è un univoco disegno color panna ocra pronto per i turisti coi trolley.

“Dall’osteria e dal triciclo coi piatti al palcoscenico sempre pronto a riprendere e ritornare in strada”, declama Lechner dalla platea di un teatro. Perché la storia di Bombolo è soprattutto questa: l’autenticità dell’uomo della strada, della figura popolare con le sue pittoresche volgarità e rustici stridori, dalle potenzialità comiche notate da Castellacci e Pingitore che finisce in fondo a rifare sempre se stesso. Poi certo Bombolo ci mette del suo e diventa spalla, e talvolta persino protagonista, della saga dell’ispettore Giraldi/Thomas Milian, quando con il suo Venticello organizza piccole e sgangherate truffe. Si tratta davvero di un soffio (pardon) di vento, quei poliziotteschi romaneschi tutti da ridere diretti da Bruno Corbucci dal ’77 con Squadra antitruffa all’84 con Delitto al Blue Gay, nemmeno una decina d’anni, Franco che debutta in fondo già sui 45 anni (morirà all’improvviso quando ne avrà 56) e che s’inventa una naturale presenza in scena con un nome d’arte che alla faccia delle lagne da body shaming. Bombolo sarà anche in coppia, per una comicità ancor più barzellettiera, con Enzo Cannavale (ma anche Pippo Franco e Lionello) per i film di Pingitore, nonché alle origine della risata, quasi muto in W la Foca di Cicero.

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