Moda e Stile

I migliori look della Fashion Week di Parigi: Louis Vuitton porta il pigiama in strada, Stella McCartney sfila per salvare il pianeta

Dal debutto di Jonathan Anderson da Dior a manifesti politici e fughe oniriche: i primi giorni delle sfilate parigine raccontano un'industria che riflette, con urgenza e creatività, sulle incertezze del presente

di Ilaria Mauri
I migliori look della Fashion Week di Parigi: Louis Vuitton porta il pigiama in strada, Stella McCartney sfila per salvare il pianeta

C’è un’energia diversa, più densa e riflessiva, in questa Settimana della Moda parigina. Arrivata in un momento difficile per l’industria del lusso, tra il rallentamento della domanda e le incertezze globali, in questi primi giorni di sfilate la kermesse sembra aver messo da parte le facili utopie per confrontarsi con la complessità del reale. L’esordio ha il piglio delle notti parigine: Saint Laurent apre in grande, Louis Vuitton mette l’intimità al centro, Stella McCartney chiama a raccolta gli attivisti della moda, Ami torna alla convivialità alla francese, Acne Studios stringe un patto con la sensualità consapevole. Le prime sfilate non hanno dettato una tendenza, ma hanno offerto un ventaglio di risposte possibili a una domanda non detta: che ruolo ha la bellezza in un mondo in subbuglio?

La risposta politica: Saint Laurent e l’attivismo di Stella McCartney

Ad aprire le danze, come da tradizione, è stata la sfilata notturna e spettacolare di Saint Laurent ai piedi della Tour Eiffel. Tra aiuole di ortensie bianche, Anthony Vaccarello ha mandato in passerella una donna potente, audace, vestita di giacche di pelle dalle spalle ingigantite e tessuti fluidi. Ma la sua, ha spiegato, non è solo un’estetica, è una dichiarazione. “In un momento in cui il dialogo si affievolisce, lo stile diventa una forma di discorso“, ha scritto nelle note di sfilata, trasformando l’abito in un linguaggio che “connette e aggiunge sfumature”. Non slogan, ma postura: giacche di pelle nere scolpite come armature affettive, tessuti fluidi che cercano la frase più precisa, un lessico di essenziali al servizio di un’idea—non imporre, ma unire.

Se quella di Saint Laurent è una politica sussurrata, quella di Stella McCartney è un grido, un manifesto. Al Centre Pompidou, prima che chiuda per un lungo restauro, la stilista ha chiamato a raccolta la sua “community di fashion activists”. Lo show si è aperto con la voce dell’attrice premio Oscar Helen Mirren che recitava “Come Together” dei Beatles, un appello all’azione. La moda di McCartney è la conseguenza diretta del suo attivismo:filiere, emissioni, biodiversità, benessere animale. Sono i numeri a dimostrarlo: materiali responsabili oltre il 98%, cruelty-free al 100%; deadstock, viscose e acetati forest-friendly, lana tracciata, GOTS per cotone e seta, ECONYL, alternative alla pelle (YATAY M a base di micelio, VEGEA dall’uva), sacche Airlite® che purificano l’aria; nuove innovazioni come FEVVERS (prima alternativa vegetale alle piume) e il denim PURE.TECH che assorbe CO₂. Ma la sfilata non è un manifesto travestito da collezione: è moda di oggi. Maschile/femminile in scambio continuo, mini ad A e abiti fluidi, giacche doppiopetto con tagli laterali, camicie affilate e bomber; nulla di punitivo, tutto desiderabile. Una dimostrazione che l’etica non solo è possibile, ma può essere bellissima.

La risposta intellettuale: Dior e la fuga nell’intimo di Louis Vuitton

Di come Jonathan Anderson, nel suo attesissimo e riuscitissimo debutto da Dior, abbia risposto all’incertezza con un dialogo colto e sovversivo con l’intero archivio della maison, abbiamo già parlato. Ma sulla stessa linea di una moda “pensante” si è mosso anche Nicolas Ghesquière per Louis Vuitton. La sua sfilata, “Elogio dell’intimità come Art de Vivre”, è stata una fuga magnifica nel privato. Negli antichi appartamenti di Anna d’Austria al Louvre, ha mandato in scena un guardaroba che porta l’abbigliamento da camera nel mondo: vestaglie che diventano soprabiti, pigiami serici che si trasformano in tailleur, sottovesti portate su pantaloni sartoriali. Poi ancora, l’innesto storico—vite corsettate, maniche “Juliette”, colletti enfatici—che spinge l’abbigliamento da camera in strada senza perdere la grazia. È una collezione insolitamente calda per essere una primavera-estate, fatta di maglioni dai grandi colli avvolgenti, di tessuti morbidi e lavorazioni preziosissime che strizzano l’occhio all’alta moda, come i completi in frange tutte fatte di perline infilate a mano. Elemento chiave, come sempre, gli accessori: dai portagioie a forma di conchiglia ai beauty case fino ad una leziosa borsetta floreale a forma di specchietto. È un viaggio immobile, coerente per chi ha fatto del tema travel la propria mitologia: “archetipi di genere” smontati e ricomposti con libertà sartoriale. In sottofondo, le note di “This Must Be the Place” recitate da Cate Blanchett, Ghesquière ha celebrato “il lusso supremo di vestirsi per sé stessi”, trasformando la sfilata in una dichiarazione filosofica sul valore del proprio spazio interiore.Il punto non è la nostalgia, ma l’autonomia: vestirsi per sé, scegliere il proprio perimetro emotivo, portarlo fuori.

La risposta identitaria e quella della gioia

Altrove, la moda risponde alle ansie del presente esplorando le identità. Da Acne Studios, in una sala per fumatori dalle atmosfere carnali, Jonny Johansson ha dialogato con l’arte di Pacifico Silano per creare un guardaroba sexy e pruriginoso che gioca con gli stereotipi queer, dal business suit con maglia a rete bondage al grunge dello scamiciato a quadri. In passerella, il sex appeal è una questione di superfici e attriti: pelli segnate, denim gommato-lattice, jeans “cartonati”, canotte con polaroid cristallizzate; tailleur con maglie a rete quasi bondage, camicie militaresche, business suit che ammiccano, slip dress in pizzo con fenditure nette. C’è folklore metropolitano (texano a punta all’insù), echi grunge (check e stivaletti), bon ton rovesciato (camoscio e cravattini di pelle), pull decostruiti come sciarpe.

Al contrario, Ami Paris di Alexandre Mattiussi ha risposto con un inno alla gioia e alla semplicità. In un’intima presentazione nel suo futuro showroom in Place des Victoires, ha svelato un guardaroba quotidiano, colorato e raffinato, un’ode all’eleganza rilassata e amichevole della capitale francese. Tra croissant, luce di metà mattina e modelle che attraversano le stanze, Alexandre Mattiussi torna ai codici di sempre—eleganza semplice, raffinatezza gentile—e li accende: camicie a righe in layering, abiti in maglia e pizzi leggeri, giacche dal taglio maschile rigoroso, un workwear ripensato per la vita di città. La palette gioca apertamente: verde matcha, gialli pastello, blu inchiostro, grigi antracite, sabbie e avori a smussare. Nei materiali convivono organza e gabardine, lane leggere, pizzi, denim grezzo; la pelletteria aggiorna le icone (Carrousel in colori di stagione) e miniaturizza la Mimi. L’idea è chiara: un guardaroba stratificabile, pragmatico, con quel tono “amichevole” che è la cifra di Ami fin dall’inizio.

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