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Un governo che parla di pace ma poi ignora le piazze: quale legittimità ha?

I fatti di Milano, in cui gli scontri hanno sovrastato il messaggio di una protesta pacifica, vengono strumentalizzati per distogliere l'attenzione dalle reali motivazioni del malcontento
Un governo che parla di pace ma poi ignora le piazze: quale legittimità ha?
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di Simone Millimaggi

Il 22 settembre, in oltre settanta città italiane, si è sollevato un coro di voci che ha attraversato paesi e generazioni, unendosi nel richiamo a una giustizia che non conosce confini. Quella a sostegno del popolo di Gaza non è soltanto una battaglia di solidarietà: rappresenta il cuore stesso di una democrazia che vuole restare fedele ai suoi valori fondanti di umanità. In un’Italia plasmata da una Costituzione che ripudia la guerra e si fonda sul lavoro e non già sul mercato o sul profitto, le scelte politiche che mirano ad aumentare la spesa militare fino al 5% del Pil, oltre quattrocento miliardi, con inevitabili ripercussioni sul welfare, sollevano interrogativi profondi sul futuro che stiamo costruendo.

Non si possono trascurare le dichiarazioni che arrivano dai vertici israeliani e che prefigurano scenari inquietanti per la popolazione di Gaza, ormai ridotta in condizioni estreme dalla fame alla deportazione forzata, descrivendo la trasformazione della Striscia in un ipotetico spazio d’oro immobiliare. Le guerre, figlie di interessi economici e logiche di mercato, pongono ogni cittadino davanti alla responsabilità di difendere, ogni giorno, quei principi di giustizia e dignità che dovrebbero essere le fondamenta di una società democratica. In questa cornice, la mobilitazione per Gaza richiama tutti a un impegno attivo, affinché nessuna voce che chieda pace venga ignorata o delegittimata.

Tuttavia, nell’arena politica italiana, dove il governo Meloni ha scelto di rispondere al dissenso sociale con un’immediata demonizzazione della protesta, si pone una questione fondamentale.

È legittimo ignorare le istanze di chi chiede pace e giustizia sociale in nome di una narrazione che evita di affrontare le responsabilità storiche e politiche?

I fatti di Milano, in cui gli scontri hanno sovrastato il messaggio di una protesta pacifica, vengono strumentalizzati per distogliere l’attenzione dalle reali motivazioni del malcontento. Quale valore ha un governo che, piuttosto che cercare un dialogo costruttivo con i cittadini, opta per il disprezzo nei confronti delle loro richieste? Frasi come “i disordini” e “la guerriglia” sui titoli di molti media e giornali servono a cambiare l’asse della discussione, relegando nel dimenticatoio le grida di chi si oppone a una guerra che continua a mietere vittime innocenti.

Il filosofo tedesco Jürgen Habermas, con la sua teoria della democrazia deliberativa, sostiene che il dialogo aperto e la discussione pubblica siano fondamentali per il buon funzionamento di una democrazia. La partecipazione attiva dei cittadini non dovrebbe mai essere vista come una minaccia, ma come un’opportunità per ridisegnare il tessuto sociale. In questo senso, la capacità di ascoltare e rispondere alle esigenze degli individui è un indicatore cruciale della legittimità di un governo.

La negazione di tali esigenze si traduce in una complicità silenziosa con le ingiustizie globali. La vendita di armi, protratta e in crescita, porta con sé enormi responsabilità morali e politiche. Non si può ignorare il paradosso di un governo che, da un lato, promuove una retorica di pace e, dall’altro, contribuisce attivamente all’escalation del conflitto attraverso il commercio di armi e continue dichiarazioni di solidarietà verso personalità dichiarate criminali dalla Corte Internazionale di Giustizia. La storia, prima o dopo, ci giudicherà.

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