Crime

“Mirella Gregori è stata rapita da qualcuno che conosceva i suoi segreti, quel dettaglio non può essere un caso”: parla l’ex maresciallo Fabio Rossi

Rossi era stato anche audito dalla commissione parlamentare di inchiesta che tenta di far luce su questo mistero italiano, più volte connesso, forse forzatamente ad un altro mistero, quello di Emanuela Orlandi

di Alessandra De Vita
“Mirella Gregori è stata rapita da qualcuno che conosceva i suoi segreti, quel dettaglio non può essere un caso”: parla l’ex maresciallo Fabio Rossi

Chi sapeva che Mirella Gregori era segretamente invaghita di un compagno di scuola? E perché proprio quel nome venne usato per farla scendere di casa il 7 maggio 1983? A queste domande, cruciali, tenta di dare una risposta lo scrittore ed ex carabiniere Fabio Rossi, nel corso di una puntata del blog “Schegge di verità”, condotta da Claudio Miani, su Mirella Gregori, la 15enne scomparsa da via Nomentana a Roma il 7 maggio del 1983. Autore di “Mirella Gregori: la ragazza inghiottita dalla terra” (Runa Editrice), Rossi era stato anche audito dalla commissione parlamentare di inchiesta che tenta di far luce su questo mistero italiano, più volte connesso, forse forzatamente ad un altro mistero, quello di Emanuela Orlandi. Dai lavori della commissione e per stessa ammissione dei parlamentari che ne fanno parte, le due scomparse sarebbero prive di connessioni reali, al di là dei collegamenti fatti negli anni da mitomani e depistatori nell’interesse unico di alimentare il caos e rendere la verità ancora più inaccessibile.

“Torno tra dieci minuti”

Mirella esce di casa sabato 7 maggio, poco dopo le 15. Era appena rientrata dalla sua scuola, nei pressi della Basilica di Santa Maria Maggiore. Prima di salire a casa fa tappa al bar di Sonia De Vito, sotto casa, in via Nomentana. Una volta su, poco dopo suona il citofono. Alla madre Maria Vittoria Arzenton, Mirella dice che dall’altra parte della cornetta c’è Alessandro, un suo compagno di scuola delle medie. Vuole vederla alla statua di Porta Pia, a pochi metri da lì, per dieci minuti. Mirella non si tratterrà molto, deve rientrare perché quel sabato deve incontrare la sua comitiva di Centocelle, tra cui c’è anche il suo ragazzo. Ha appuntamento con delle amiche in particolare per fare spese, deve acquistare un regalino per la Festa della mamma, all’indomani. Da allora e per sempre sua madre però non la rivedrà più perché quel giorno Mirella si chiude la porta alle spalle e fa un salto nel suo buio destino, mentre le dice convintamente: “Torno tra dieci minuti”.

“Un dettaglio che non può essere un caso”

Quel dettaglio, quel nome, diventa un tassello fondamentale. Alessandro De Luca, il compagno di scuola di Mirella per cui lei aveva avuto una cotta, come poi verrà fuori dalle indagini, quel pomeriggio era altrove con altri tre ragazzi. Anche se riscontri sugli alibi dei quattro ragazzi non ce ne sono, e dalle loro testimonianze dell’epoca emergono delle discrasie, forse generate dall’ansia, De Luca non è mai stato indagato e secondo i magistrati dell’epoca, è del tutto estraneo ai fatti. L’unico riscontro oggettivo è quel nome che Mirella fa a sua madre quel pomeriggio di 42 anni fa, per uscire. E viene allora da chiedersi: come poteva uno sconosciuto sapere di quella cotta, se non chi faceva parte del suo giro più intimo? Non bastava un nome qualunque: serviva quello giusto per convincerla a scendere senza timore. Questo, per Fabio Rossi, afferma due punti fondamentali. “Primo: la trappola non fu improvvisata, ma preparata con cura, con informazioni personali e delicate. Secondo: chi telefonò o chi si presentò al citofono non era un adulto sconosciuto, ma una persona giovane, capace di spacciarsi credibilmente per un coetaneo. E questo lascia spazio a un interrogativo pesante: era un ragazzo del suo ambiente, assoldato o manipolato da qualcun altro?”

La sera della scomparsa

Il grande interesse per la ragazza di via Nomentana da parte di Rossi non nasce per caso e lui non è soltanto uno scrittore d’inchiesta. Interrogato dalla commissione parlamentare Orlandi-Gregori, Rossi lo scorso giugno aveva già lasciato intendere quali fossero le sue ipotesi e le motivazioni a sostegno delle stesse. Ha raccontato: “La sera della scomparsa di Mirella Gregori, sabato 7 maggio 1983, io la ricordo molto bene. Siccome io prestavo servizio come vice brigadiere presso la stazione dei carabinieri di viale Libia, feci in modo di farmi mettere al servizio notturno, così il giorno dopo potevo essere libero e festeggiare (lo scudetto della Roma, ndr), come poi in effetti è avvenuto”. Quella sera, quando la centrale operativa dette la notizia della scomparsa di una ragazza nel quartiere Nomentano, Rossi di pattuglia in zona, in un servizio che si chiamava Mike 1 e Mike 2. Erano in due a pattugliare la zona di via Nomentana, dei Parioli e di corso Trieste, per cui facemmo una ricerca purtroppo infruttuosa”. Dopo poco, Rossi fu trasferito in un ufficio che si chiamava Oaio e, in quel periodo, c’è stata l’unificazione del caso della Gregori con quello della cittadina vaticana Emanuela Orlandi. “Quando la sorella (Maria Antonietta, ndr) dice che Mirella non è stata mai cercata, dice una cosa vera. E non è stata mai cercata anche in presenza di una documentazione che sta agli atti. Si rimane un po’ sconcertati, perché anni fa si poteva fare qualcosa di più. Capire per quale motivo determinati documenti non siano stati proprio trattati, questo è veramente difficile”.

I due documenti

Rossi fa spesso riferimento a due documenti: uno è l’ormai famosissimo documento del Sisde dell’intercettazione ambientale. Dal suo stenografico in Parlamento si legge: “In quella intercettazione ambientale sono state dette determinate parole da parte dell’amica del cuore di Mirella Gregori, Sonia De Vito. La De Vito fa un esplicito riferimento ad una possibile persona con cui si sarebbe poi incontrata Mirella Gregori e lo fa parlando con una sua amica profumiera. L’altro documento viene dal reparto operativo, diretto al dottor Sica, nel quale tutto l’alibi di Alessandro De Luca e dei suoi amici sembra far acqua da tutte le parti. Sinceramente, nonostante tutto, io non penso che lei (Sonia DE Vito, ndr) c’entri molto. Forse sa qualcosa, però non in maniera così diretta”. Prima di raggiungere colui che le citofonò, lo ricordiamo, Mirella si fermò di nuovo al bar di Sonia con cui trascorse 15 minuti nel bagno, a detta anche del barista Giuseppe Calì, interrogato anche lui dalla commissione di inchiesta più volte.

Soltanto un’esca

Ancora dall’audizione dell’ex maresciallo Fabio Rossi alla commissione si legge: “Mirella riceve una citofonata, probabilmente da parte di Alessandro. Non si capisce neanche se questo Alessandro fosse l’Alessandro De Luca che poi è venuto fuori. In un audiolibro, però, Sonia De Vito chiarisce inequivocabilmente che si trattava di Alessandro De Luca. Quindi, o era questo ragazzo o quantomeno si era trovata la scusa per far scendere Mirella facendo leva su questo nome. Questa è un po’ la situazione”. In conclusione per Rossi, il nome di Alessandro, probabilmente poi finalizzato ad Alessandro De Luca, è stato semplicemente un’esca agganciare Mirella. Secondo lui non fu Alessandro De Luca a citofonare, ma un’altra persona che forse le disse: guarda che c’è Alessandro De Luca che ti vuole salutare. Tuttavia, come ha anche detto Rossi alla commissione lo scorso giugno, quel giorno: “Mirella dice alla De Vito: ‘io mi devo vedere con Alessandro De Luca’. Qualcuno mente: o ha mentito Mirella o mente Sonia”.

Conclusioni

Ribadendo quanto già scritto e dichiarato dopo aver letto tutti i verbali dell’epoca, l’ex maresciallo Fabio Rossi oggi ribadisce le sue ipotesi a Schegge di Verità. “Le ipotesi sono due. Da un lato, un’operazione “artigianale”, condotta da chi conosceva Mirella e sapeva come avvicinarla. Dall’altro, un disegno molto più grande, in cui i ragazzi venivano usati come pedine da organizzazioni che volevano colpire attraverso le adolescenti romane”. Del resto, lo ricordiamo, si è più volte parlato di “tratta delle bianche” finalizzata al commercio clandestino di organi e alla prostituzione. Lo stesso magistrato veneto Otello Lupacchini già a capo di molte operazioni sulla criminalità romana, ha scritto un libro inchiesta su questo argomento. Ribadisce oggi Rossi: “È in questa cornice che diversi investigatori collocano la scomparsa di Mirella: un sequestro organizzato, con mandanti e un copione preciso, di cui il falso Alessandro fu soltanto il primo atto. Le indagini non hanno mai portato a un colpevole, ma quel citofono resta la chiave. Un suono che ancora oggi riecheggia come un richiamo terribile: chi chiamò Mirella, quel pomeriggio, non era un estraneo qualunque. Era qualcuno che conosceva la sua vita, le sue fragilità, i suoi segreti. Ed è per questo che, quarant’anni dopo, il mistero non si spegne”.

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