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Fedez e Mr.Marra intervistano Felice Maniero (che indossa una maschera da carnevale veneziano): “Le evasioni? Le rifarei subito se capitasse. Il pathos che ti danno non ha eguali…”

Prima che Maniero evocasse le sue gesta, con una vocina oramai flebile e stentata, seppure con una verve auto celebrativa ancora intonsa, è stato il giornalista Maurizio Dianese (che a gennaio con Feltrinelli darà alle stampe un libro sulla vita di Maniero) a freddare i bollenti spiriti: “Va trattato da bandito..."

di Davide Turrini
Fedez e Mr.Marra intervistano Felice Maniero (che indossa una maschera da carnevale veneziano): “Le evasioni? Le rifarei subito se capitasse. Il pathos che ti danno non ha eguali…”

Felice Maniero e Fedez, la strana coppia. Il capo e fondatore della Mala del Brenta è stato ospite di Pulp Podcast, lo spazio web di interviste esclusive che il rapper milanese tiene insieme a Mr. Marra. Presentato con tutti gli onori e i lazzi del caso, Maniero è apparso in video con una mascherina da carnevale veneziano o da orgia kubrickiana, da un luogo segreto. L’introduzione apologetica riguarda il tema della pressione che la mala veneta, attiva fin dagli anni sessanta – rubando camionate di Parmigiano – settanta – gioielli puntando una “pistolettina” – subì agli inizi degli anni ottanta della mafia siciliana e da quella milanese di Turatello per entrare nel giro della vendita di stupefacenti passando soprattutto per le maniere spicciole degli omicidi.

“La nostra regola era non sparare a nessuno e non avevamo mai ucciso nessuno”, spiega nel montaggio rapido introduttivo l’oggi 71enne Maniero. “Puntammo i piedi su questa faccenda, ma alla fine il primo ucciso fu un 30enne che nemmeno era una figura di spicco della mala. Io all’epoca ero già in carcere”. Maniero venne arrestato la prima volta nel 1980, ma nel 1987 fuggì dal penitenziario di Fossombrone. Venne arrestato nuovamente nel 1993 sul suo yacht al largo di Capri e di nuovo evase nel giugno de 1994 dal carcere di Padova e di nuovo a novembre dello stesso anno tornò dentro a Torino. Da quell’anno diventò collaboratore di giustizia. “L’ho fatto per convenienza”, ha sottolineato l’ex boss veneziano sul suo “pentimento”.

Le evasioni le rifarei subito se capitasse. Il pathos che ti danno non ha eguali, soprattutto se si fugge da un carcere speciale”, ha aggiunto colui che si faceva chiamare “Faccia d’angelo” e che negli anni settanta aveva ai suoi ordini centinaia di “soldati” e un patrimonio che si stima fosse di oltre 30 miliardi dilapidato tutto in spese folli. Maniero ha ricordato che si guadagnava moltissimo anche dal traffico d’armi (“Vendevamo a tutti”) soprattutto tra Venezia e le ex repubbliche jugoslave in guerra tra loro. Prima che Maniero evocasse le sue gesta, con una vocina oramai flebile e stentata, seppure con una verve auto celebrativa ancora intonsa, è stato il giornalista Maurizio Dianese (che a gennaio con Feltrinelli darà alle stampe un libro sulla vita di Maniero) a freddare i bollenti spiriti: “Va trattato da bandito. Capisco il fascino ma ha sulla coscienza una trentina di omicidi. Faceva molta paura, comandava lui. Era una bestia, di una cattiveria non raccontabile”.

L’episodio che rimane emblematico della risoluta violenza di Maniero e soci riguarda la rapina al Casinò di Venezia che a causa del vagone di un treno da far saltare (dentro c’erano 8 miliardi di incassi ndr) portò alla morte di una studentessa rimasta sul treno. Maniero era comunque riuscito a corrompere poliziotti e perfino uomini dei servizi segreti. L’artista Mario Schifano aveva regalato decine di quadri a Maniero al posto di un normale pagamento. Un ultimo dettaglio. Maniero spiega che “della mafia del Brenta resta qualcosa” e che “sono anche bravi: fanno rapine alle gioiellerie”; ma sull’ex sodale Giampaolo Manca – il “Doge” – oggi redento e protagonista di tour sui luoghi dei furti, Faccia d’Angelo non ha dubbi: “è un pagliaccio”.

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