La via filosofica contro il cambiamento climatico: “L’etica della virtù per individui consapevoli”
“La filosofia è arrivata in ritardo sul tema climatico, ma le ragioni sono molteplici. Primo, non ama ‘invadere il territorio’ delle altre discipline, secondo il ruolo che poteva avere sul clima non era immediatamente chiaro”. Francesca Pongiglione insegna Filosofia Sociale all’Università San Raffaele ed è autrice del libro “L’emergenza climatica. Ripensare l’individuo in un mondo che cambia” (Il Mulino), nel quale suggerisce una via filosofica per affrontare le contraddizioni morali che il riscaldamento globale porta con sé.
Lei scrive che ci troviamo di fronte a un problema che richiede un’azione immediata ma che per varie ragioni non si riesce ad affrontare. Prime tra tutti i cosiddetti “bias cognitivi”.
Siamo di fronte a un problema con caratteristiche che complicano moltissimo la reazione comportamentale da parte dell’individuo. Prima di tutto la dimensione differita, per cui le azioni compiute oggi non hanno effetti immediati. Le emissioni di oggi, ovvero, avranno un effetto sul sistema climatico tra alcuni decenni, e il cambiamento climatico che sperimentiamo adesso è frutto delle emissioni passate. E se oggi smettessimo di rilasciare gas serra in atmosfera, dovremmo attendere diversi decenni prima di osservare un miglioramento nelle condizioni climatiche.
Questo cosa comporta a livello etico?
L’essere umano reagisce bene quando causa e conseguenza sono vicine tra loro nel tempo e nello spazio, più si allontanano e più si indebolisce la motivazione ad agire. Questo vale in molti altri contesti, dal consumo di alcol, all’alimentazione scorretta, al fumo: tendiamo a tralasciare il rischio di ciò che ci danneggia nel lungo termine. E poi c’è un altro elemento.
Quale?
Il problema della dimensione globale. L’individuo si sente impotente di fronte a un tema di questa portata, in cui gli effetti delle sue azioni si disperdono. Da qui la percezione comune che non abbia senso ridurre il proprio impatto ambientale, poiché qualunque azione, di per sé, non ha alcuna conseguenza sullo stato delle cose.
Lei parla anche del problema del cosiddetto “scontare il futuro”.
Sì, si ricollega a ciò di cui parlavo prima – il fatto che si tenda ad attribuire importanza minore a quello che avviene nel futuro, e si privilegi invece la dimensione presente. Tendiamo a prediligere un beneficio immediato a uno futuro anche se di ordine superiore, quasi applicassimo a esso uno “sconto”. E poi c’è un’altra cosa: la tendenza a selezionare le informazioni che confermano le proprie credenze o paure pregresse. Se penso che il cambiamento climatico non esista perché, in fondo, ne ho molta paura, tenderò ad aggrapparmi alle notizie meno allarmanti. Questi meccanismi sono stati studiati in molti altri ambiti nel comportamento umano, e si possono applicare anche al cambiamento climatico.
A suo avviso prima dell’azione ci dovrebbe essere un passaggio di tipo epistemico, cioè il venire a conoscenza del tema climatico. Può spiegarci meglio?
Il cambiamento climatico è un tema che va conosciuto per poterci interagire. Se cerco di allontanarne il pensiero perché mi spaventa, o se lo ignoro perché non mi interessa, è assai improbabile che farò mai nulla per contribuire alla sua risoluzione. Il primo passo, quindi, prima ancora di decidere se e cosa fare, è informarsi. Cosa che può rivelarsi più complicata di quanto sembri per via della disinformazione sul tema, in cui non è facile districarsi.
A suo avviso dovrebbe esserci un obbligo morale per gli individui a informarsi e poi agire?
Qui ci sono due scuole di pensiero: chi sostiene che compito degli individui sia solo fare pressione sulle istituzioni al fine di ottenere un sistema normativo che regolamenti le emissioni individuali, e chi invece crede occorra in primis una presa di coscienza da parte della popolazione, in modo che quando le norme arriveranno saranno più efficaci poiché in qualche modo già interiorizzate. Io credo più in questa seconda posizione: acquisire consapevolezza degli effetti delle nostre azioni, anche su persone distanti nello spazio o nel tempo, è il primo dovere dell’individuo contemporaneo. Certo non è facile, perché ci risulta difficile pensare ai nostri doveri verso persone prive di identità, collocate in una dimensione distante da noi.
Quindi cosa dovremmo fare?
Iniziare a pensare che tipo di persone vogliamo essere, che tipo di impatto vogliamo avere sull’ambiente, che cosa possiamo modificare delle nostre azioni quotidiane. A livello pratico, potremmo iniziare a tagliare cose che in fondo ci interessano poco, oppure adottare dei comportamenti che sono favorevoli all’ambiente e che hanno anche un ritorno positivo sulla nostra salute, come ridurre i consumi di carne, o spostarsi a piedi o in bicicletta anziché in macchina laddove possibile. Il primo passo resta, tuttavia, operare una riflessione su quali siano i nostri doveri verso gli altri esseri umani ora che siamo consapevoli degli effetti delle nostre azioni sull’ambiente naturale dal quale tutti dipendiamo.
In conclusione, lei auspica un’etica della virtù per l’era climatica. Che significa?
L’etica delle virtù si focalizza sui tratti caratteriali, sui modi di essere, sull’individuo nella sua interezza. L’etica delle virtù non è basata su un sistema di regole o principi; né determina l’ammissibilità di una azione sulla base delle conseguenze da essa prodotte. Quando adottiamo questa prospettiva ci poniamo una domanda più semplice e più profonda allo stesso tempo: che tipo di persona sono, e che tipo di persona voglio essere? Se sono una persona a cui sta a cuore la salvaguardia dell’ambiente, agirò di conseguenza, senza obblighi e senza calcoli. Relativamente pochi studi hanno applicato l’etica delle virtù al cambiamento climatico, ma è una strada che trovo assai promettente, e per certi versi si allinea ad alcune tradizioni non occidentali quali il confucianesimo o la filosofia dei nativi americani, che non hanno sistemi morali basati sul concetto di dovere.
La filosofia anche, però, deve cambiare?
Probabilmente un po’ sì. In Italia il professore di filosofia viene ancora visto come qualcuno che si occupa solo di questioni metafisiche o storiche. In realtà una buona parte dei filosofi si occupa dei problemi del mondo contemporaneo, dall’intelligenza artificiale all’eutanasia, dal linguaggio d’odio alla crisi delle democrazie occidentali. E oggi è impossibile non occuparsi anche di crisi climatica.