È un’intervista molto bella quella rilasciata da Victor Arguinzoniz a Cook del Corriere della Sera. Perché ci porta nei Paesi Baschi, terra dura e incantevole e in un ristorante acclamato, l’Asador Extebarri, dove l’asador, il grigliatore, è il 65enne Arguinzoniz e lo è da 35 anni. Siamo nella classifica World’s 50 Best Restaurants, anzi in top ten, ed una faccenda di griglia che nulla ha a che fare con quello che sappiamo della griglia.
La prima domanda della lunga intervista di Cook è come mai lui, l’asador, grigli in silenzio: “Il mio lavoro richiede grande concentrazione, non ho nessuno strumento che controlli il tempo di cottura o la temperatura, solo il mio occhio. È un mestiere artigianale per il quale serve un’attenzione assoluta”. Arguinzoniz lavora assieme alla moglie Patricia e al figlio Paul con cui parla “il necessario” e a grigliare ha imparato con “le nozioni che vengono dalla mia infanzia: sono nato qui ad Axpe e a casa mia non c’erano né l’elettricità né il gas. La prima cosa che mia madre e mia nonna facevano appena alzate era accendere il fuoco basso per riscaldare la casa, se era inverno, e poi per cucinare il pasto principale della giornata. Ricordo ancora gli aromi della legna, il sapore degli stufati che preparavano”.
Si parla delle stelle (una Michelin) e della posizione nella World’s 50 Best Restaurants, non più primo ma secondo posto: “Per me cucinare non è una competizione. Sono grato alla 50 Best perché è una vetrina, e persone da tutto il mondo mi vengono a trovare. Ma non è essere in un ranking l’obiettivo del mio lavoro”. E allora qual è? “Cerco di trasmettere nei piatti lo stesso piacere che provo io quando cucino. Sono contento quando i clienti vengono a salutarmi e mi dicono che sono stati bene, che hanno avuto un’esperienza piacevole. Rendere felici le persone, per me, è un valore enorme”. Restando in tema, anche se la chiacchierata è ampia e ci sono parti molto gustose dove si parla di cucina in purezza, a Victor Arguinzoniz viene fatta una considerazione, ovvero che per scelta non ha mai avuto un’agenzia di pr mentre molti ristoranti della 50 Best investono per invitare la stampa e gli opinion leader di settore, e lui commenta così: “Non so nemmeno se a quegli chef lì piaccia cucinare… Se cucini per stare in una qualche guida o per ottenere non so quante stelle significa che qualcosa non va dentro di te. Per me non ha alcun senso. Non ho mai cercato di essere in una lista, è il modo in cui ho lavorato che mi ci ha portato. Io ho molto chiaro il mio cammino”. Due risposte, su tutte le altre, il rimpianto di “aver lavorato tanto e vissuto poco, aver sacrificato totalmente la famiglia. Infatti da settembre chiuderemo due giorni, il lunedì e il martedì, per riposarci un po’ di più. Vorrei anche ridurre i coperti da 40-45 a 35 e togliere un paio di piatti dal menu. Mi piace quello che faccio ma vorrei che il lavoro non mi travolgesse”, e la paura “di morire con gli stivali ai piedi, lavorando”.