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“Eravamo felici”. Vive per anni con le figlie in una grotta nella giungla tra i serpenti velenosi, pregando e facendo yoga: la storia di Nina Kutina

Trovati da un agente durante un pattugliamento, ora si trovano in un centro per l'immigrazione in attesa del rimpatrio. E sul passato della donna si allungano le ombre di altri due figli, uno morto e uno scomparso

di F. Q.
“Eravamo felici”. Vive per anni con le figlie in una grotta nella giungla tra i serpenti velenosi, pregando e facendo yoga: la storia di Nina Kutina

Una statua di una divinità induista e, subito dietro, delle tende improvvisate all’imboccatura di una grotta. È questa la scena insolita che ha catturato l’attenzione di un poliziotto in pattugliamento nei boschi piovosi e franosi di Gokarna, sulla costa dello Stato del Karnataka, nel sud dell’India. All’interno, ha trovato Nina Kutina, una donna russa di 40 anni, insieme alle sue due figlie piccole, di 4 e 6 anni. Vivevano lì, ha spiegato la donna, per meditare circondate da immagini sacre. Una scelta di vita radicale, che si è però scontrata con la realtà: la zona è piena di serpenti velenosi e, con l’arrivo dei monsoni, ad altissimo rischio di frane. La polizia, dopo aver scoperto la famiglia lo scorso 9 luglio, ha cercato di convincerla a lasciare la grotta per mettersi in salvo. La sua risposta iniziale è stata un netto rifiuto: “Voglio restare nella foresta e pregare Dio”.

Dopo molta insistenza, gli agenti sono riusciti a convincere Nina e hanno accompagnato lei e le bambine in un rifugio per donne gestito da una ONG. Lì, dopo aver ricaricato il cellulare, la donna ha scritto ai suoi parenti in Russia un messaggio che riassume il suo stato d’animo: “La nostra vita pacifica nella grotta è finita, la nostra casa grotta è distrutta. Dopo anni vissuti sotto il cielo aperto in armonia con la natura, nessun serpente o animale ci ha mai fatto del male“.

In un’intervista all’agenzia ANI, ha difeso la sua scelta: “Abbiamo una grande esperienza nel vivere nella giungla. Non stavamo morendo. Le mie figlie non stavano male. Erano molto felici“, ha dichiarato, raccontando di giornate fatte di bagni nelle cascate, pittura e ceramica. La scoperta ha dato il via a un’indagine che ha cercato di ricostruire gli ultimi, complessi anni della vita di Nina Kutina. Le informazioni sono a tratti contraddittorie. Sembra sia arrivata in India tra il 2016 e il 2017, stabilendosi inizialmente a Goa, paradiso per chi cerca spiagge e connessioni mistiche, con un visto business scaduto nell’aprile 2017. Da allora, la sua permanenza nel Paese è stata illegale.

Nel 2018 si sarebbe trasferita per un periodo in Nepal, per poi rientrare in India nel 2020. Secondo alcune fonti, a quel tempo era insieme a tre figli. Di questi, il maggiore sarebbe morto in un incidente in moto, mentre di un secondo figlio di 11 anni si sarebbero perse le tracce. L’unica certezza sono le due bambine ritrovate con lei nella grotta, che non hanno passaporto.

A complicare ulteriormente la vicenda è emersa la figura del marito o compagno della donna, l’israeliano Dror Goldstein, che, secondo l’agenzia di stampa PTI, si è fatto vivo dopo la notizia del ritrovamento, affermando che Nina lo avrebbe lasciato portando con sé le figlie senza informarlo e chiedendo ora l’affidamento congiunto. Attualmente, Nina e le due bambine sono state trasferite in un ufficio dell’immigrazione a Bengaluru, capitale del Karnataka, dove si trovano sotto “stretta osservazione” in attesa del rimpatrio in Russia. L’ambasciata russa, contattata dalla CNN, non ha per ora rilasciato commenti.

Le autorità indiane sottolineano la gravità della situazione. “Non vuole andarsene perché ama la natura, ma dobbiamo seguire la procedura”, ha spiegato il sovrintendente di polizia Narayana. “La sua presenza in India dal 2017 all’insaputa delle autorità rappresenta un problema di sicurezza. Entrare nelle grotte è pericoloso, viverci per settimane con due bambini è incredibile”.

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