Osteopata nel Regno Unito. “Per lavorare qui non devi accettare turni infiniti. In Italia mi sentivo un fallito”
Sentire di non avere più una via d’uscita, schiacciato da un disagio “abissale”. Capire che, con il tempo che passa, il proprio sogno va in fumo: gli altri a realizzarsi, con relazioni stabili, lauree e lavori di responsabilità, e tu fermo al palo, a casa della nonna, ad aspettare le cose girare nel verso giusto. Sono tante le motivazioni che hanno spinto Agostino Vecere a lasciare l’Italia. Lo ha fatto a trent’anni partendo da Gardone Riviera, nel Bresciano, con un biglietto aereo per il Galles e settecento euro in tasca. Oggi, dieci anni dopo, ha un lavoro, una stabilità economica e una prospettiva di vita.
“La mia passione è sempre stata la musica, volevo fare il musicista di professione”, racconta al fattoquotidiano.it. Era un po’ il sogno di tutta la mia generazione, quella degli anni Novanta. Ma il mio Paese mi ha fatto sentire svalutato e sottovalutato”. La decisione di partire, con un gruzzolo messo da parte dopo un po’ di lavoretti estivi, ha reso felice suo padre. “I miei genitori erano esasperati dal mio fallimento in Italia”. La scelta ricade su Cardiff, con un po’ di superficialità: “Su Google ho visto che aveva il mare”. Una volta arrivato, Agostino trova subito lavoro in una catena di fast-food. “Poi ho scoperto i career advisors, un servizio gratuito in cui il centro per l’impiego ti offre un colloquio individuale settimanale con un consulente per orientare la carriera lavorativa”. È lì che sceglie un corso part time di massaggiatore sportivo: “Mi è piaciuto e mi ha convinto a iscrivermi all’università, quando avevo 34 anni”. A 38 anni si laurea in osteopatia: da due anni lavora quattro giorni a settimana, guadagnando circa quarantamila euro lordi l’anno.
Per trovare lavoro a Cardiff, dice Agostino, non devi essere un genio, “essere raccomandato” o “accettare turni di 14 ore”. In città ci sono numerosi europei: spagnoli, francesi, italiani, che col tempo hanno contribuito a creare un gruppo vasto e coeso. Il Galles, spiega, è lo Stato del Regno Unito più economico, con un costo della vita piuttosto basso: per una stanza condivisa si possono spendere solo trecento sterline al mese (“certo, ti devi adattare”). Il vero punto di forza, però, sta nelle condizioni di lavoro: “Il lavoro è ben regolato, flessibile, praticamente non esiste il nero. Tutte le ore di lavoro sono regolarmente retribuite e, soprattutto, il salario minimo aumenta ogni 6-12 mesi. Quando sono arrivato era circa 8,12 sterline l’ora, oggi è sulle 12,20”. Un altro aspetto positivo è la possibilità di cambiare lavoro anche in età relativamente avanzata: “Se sei stufo di fare il cameriere, vai in un job center e, se hai più di 25 anni, hai diritto ad un consulente personale che ti segue nel reinventarti la carriera. Io ho fatto così e ho trovato la mia strada”.
Dell’Italia mancano gli affetti (“anche se il rapporto con i genitori è molto migliorato da quando sono via”), la possibilità di mangiare fuori a cena con gli amici, la sintonia: “Le persone qui in Galles vivono la socialità in maniera diversa: tutto è funzionale alla classe cui appartieni. Per questo non riesci spesso a farti amici inglesi poiché si ha l’impressione che non siano sinceri, pur essendo molto cortesi”. Dopo dieci anni passati in Galles “posso dire di non avere amici del posto”, ammette.
L’anno scorso Agostino ha lasciato Cardiff per un nuovo lavoro in una clinica di Buxton, cittadina di 25mila abitanti della contea del Derbyshire, in Inghilterra. La prospettiva di rientrare a volte lo tenta, magari aprendo uno studio in Italia: “Ma quando sento i miei amici che non sanno come pagare l’Iva e arrivare a fine mese allora cambio idea”. Il lavoro come osteopata in Italia non manca, ma fino a pochi anni fa la figura non era ufficialmente riconosciuta come professione sanitaria nel nostro il Paese. E anche dopo il riconoscimento – arrivato nel 2021 – non è mai stata disposta l’equipollenza dei titoli ottenuti in precedenza. “Insomma, la mia laurea in Italia oggi non varrebbe niente”. Eppure, una parte di Agostino vorrebbe tornare per cercare di cambiare le cose: “Quando sei all’estero e vivi in un Paese che ti offre una prospettiva capisci cosa vuol dire vivere davvero. In Italia, al contrario, non combattiamo per migliorare il posto in cui siamo cresciuti: ci rassegniamo e ci facciamo andare bene tutto”.
Agostino dice sorridendo che se non fosse partito, forse, oggi sarebbe un “malato psichiatrico”. Poi si fa serio: “In Italia per me non c’era prospettiva: mi sono sentito un fallito dai venti ai trent’anni, bloccato da pregiudizi e svalutazioni”. La prospettiva era di vita incompleta, dominata da rabbia, frustrazione e disperazione. Se fosse rimasto, spiega, avrebbe lavorato come manutentore di piscine nella ditta di un suo amico: un lavoro fisso d’estate, per poi prendere la disoccupazione nel resto dell’anno. “Quando sono arrivato in Galles ho pensato: “Ecco dov’era la vita”. Mentre in Italia stavo solo sopravvivendo”.
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