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Afterhours live 2025, la storica reunion tocca Milano. Agnelli: “È il concerto più divertente che io abbia mai fatto senza voce”

Un Manuel Agnelli in camicia bianca e cravattino nero ha guidato le danze per due ore e mezza di rock pestatissimo, sporchissimo, drittissimo: insomma, una vera e propria fotografia seppiata (col filtro 2025) di ciò che la band regalò in quell’epoca d’oro tra fine anni ’90 e primi anni Zero

di Federica Artina
Afterhours live 2025, la storica reunion tocca Milano. Agnelli: “È il concerto più divertente che io abbia mai fatto senza voce”

Se il mondo intero celebra proprio in questi giorni la reunion delle reunion (leggi Oasis), il rock alternativo italiano si gode simultaneamente il ricongiungimento dei ricongiungimenti targato 2025, vale a dire quello degli Afterhours: la band è infatti tornata a suonare in giro per celebrare il ventennale di “Ballate per piccole iene”, il loro ottavo album in studio, quello che li consacrò (raggiunse il 2º posto nella classifica FIMI).

Perché parliamo di una storica reunion di casa nostra? Perché Manuel Agnelli (voce, chitarre e tastiere) ha mollato per l’occasione la fastosa formazione dell’ultimo decennio e più, per riunirsi al “fratello” Giorgio Prette alla batteria, ad Andrea Viti al basso e a Dario Ciffo al violino e alle chitarre: la formazione, appunto, che incise il disco del 2005.

Ieri sera, il tour dei ritrovati Afterhours ha toccato la terra madre della band, Milano, al Kozel Carroponte, mandando in visibilio migliaia di ex adolescenti degli anni ’90. Un concerto attesissimo, rivelatosi una seduta collettiva di psicoterapia per un’intera generazione — facciamo anche due.

Un Manuel Agnelli in camicia bianca e cravattino nero ha guidato le danze per due ore e mezza di rock pestatissimo, sporchissimo, drittissimo: insomma, una vera e propria fotografia seppiata (col filtro 2025) di ciò che la band regalò in quell’epoca d’oro tra fine anni ’90 e primi anni Zero.

Agli Afterhours, va dato atto di questo: in un momento storico in cui si “regala” San Siro a chiunque e in cui la forma tende a sovrastare la sostanza, loro ritornano rivoluzionati nell’apparenza per dirci che l’autenticità della musica non cambierà mai.
E allora, se celebrazione dev’essere, che lo sia a partire proprio dalla scaletta: Ballate per piccole iene viene eseguito integralmente, mentre restano fuori classiconi da live come Germi o Dentro Marilyn. Il messaggio è chiarissimo.

Si scivola poi via tra altre pietre miliari del gruppo, fino ad arrivare al climax del casino con la tripletta Lasciami leccare l’adrenalina – Dea – Le verità che ricordavo. Agnelli, dal palco, dà istruzioni e invoca il pogo tra gli astanti che però, bontà loro, per motivi anagrafici si spegne nel giro di pochissimo. Apprezziamo comunque il tentativo, Manuel.

Molto giusta e molto bella anche la scelta di iniziare il primo encore con la cover de La canzone di Marinella, unico momento del concerto in cui Agnelli molla la chitarra per concentrarsi su un’interpretazione da manuale. Perché, se non è facile in generale fare una cover credibile, è praticamente impossibile riuscire a reinterpretare De André in maniera onorevole.

Ebbene, gli Afterhours non solo ce l’hanno fatta, ma ce l’hanno fatta alla grande. E l’inclusione nella setlist è un comprensibile e azzeccato omaggio alla profonda traccia che — senza ombra di dubbio — la band ha lasciato nella storia del genere in Italia. Il pezzo, infatti, fu inciso nel 2000 e incluso nell’album “Faber, amico fragile”, che raccoglieva reinterpretazioni di brani di De André da parte di vari artisti della scena rock, alternative e pop italiana, celebrando la figura e l’eredità artistica del cantautore, scomparso l’anno precedente.

Abbiamo perso il conto dei numerosi accorati “grazie” spesi da Agnelli per il pubblico; abbiamo apprezzato la sua immutata verve nell’apostrofare un fan con: “Non ho capito cosa mi hai urlato, ma era sicuramente qualcosa di straordinaria importanza…”; abbiamo ascoltato l’invettiva contro “la merda che ci propina al giorno d’oggi il sistema”; e anche il suo appello a essere parte della geopolitica mondiale “scendendo per strada e facendoci vedere”, prima di intonare Padania che, a dispetto del titolo, ha trasportato tutti in un iperuranio di malinconica e poetica disfatta: una magia che, per un attimo, ha sospeso l’aria sopra il Carroponte.

Il finale del concerto è tutto in discesa, con la gente che canta all’unisono due tra i masterpiece della band, da Non è per sempre a Voglio una pelle splendida, con il tradizionale battimani del pubblico ad accompagnare in dissolvenza la fine del brano e dello show, mentre Agnelli si è speso nell’ennesimo ringraziamento, ammettendo che “è il concerto più divertente che io abbia mai fatto senza voce”.

Che dire. Se è vero — com’è vero — che Manuel iniziò a suonare “per disturbare e non per intrattenere” (ipse dixit), possiamo serenamente affermare che oggi, a 59 anni mai stonati, la missione è ancora più compiuta che mai.

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