“Sinceramente sono stufa di correggere innumerevoli correzioni di verifica scritte con i piedi, piene zeppe di errori ortografici gravi e di inesattezze. Se la tua idea è di continuare così, per me puoi stare a casa!“: così, a penna rossa, una maestra ha scritto il giudizio a un alunno, su un foglio di compiti. Siamo a Treviso, i genitori si sono arrabbiati, hanno chiesto un incontro alla scuola e un mese dopo i fatti (risalenti e metà maggio) hanno raccontato tutto: “Ci siamo dovuti nostro malgrado scontrare inaspettatamente con una metodologia di insegnamento che ricorda i racconti dei nostri nonni…”.
E su questa dinamica è intervenuto Paolo Crepet che però al Corriere della Sera ha precisato: “Premesso che non voglio commentare il caso singolo, sono terrorizzato dai genitori invadenti. La scuola è un luogo dove anche in quinta elementare un bambino deve avere la possibilità di esprimersi. I genitori, tranne in alcuni casi, dovrebbero stare al loro posto. Ma non per principio, non senza una ragione. Più che altro perché è educativo per i propri figli stare al proprio posto“. In poche parole i gentori “in casi estremi intervengono” ma “è corretto che i bambini imparino a gestire la situazione a scuola”.
E quando gli viene chiesto se le punizioni debbano essere calibrate, non ha dubbi: “Certo. È evidente però che se un’ insegnante dà una nota o chiede ad uno studente di fare compiti in più non sta facendo niente di eccessivo. Stare seduti alla ricreazione, stare fuori dall’aula. A volte da più grandi si deve pure studiare d’estate perché si viene rimandati. E non mi pare sia mai morto nessuno“. E ancora: “Mi dicano allora i pediatri o i genitori cosa dovrebbe fare una scuola se anche le punizioni dei compiti in più o dello star seduti durante la ricreazione diventano problematiche . Deve star zitta? Se chi viene punito viene subito difeso le punizioni perdono di importanza. Poi, per carità, ci sono livelli e livelli”. Per chiudere una frase che racchiude il pensiero di Crepet: “(…)La frustrazione diventa deleteria se non viene concepita come parte della crescita. Si diventa emotivamente incapaci di reagire alle frustrazioni anche da adulti”.