Crisi climatica, AI, consumismo e diseguaglianze, il filosofo Krznaric: “La Storia può insegnarci ad avere speranza”
“Quando ci rivolgiamo al passato, di solito cerchiamo avvertimenti, racchiusi nel famoso aforisma che ‘chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo’. Al contrario, nel mio nuovo libro mi interessano le lezioni più positive della storia: come l’umanità sia riuscita, ripetutamente, a superare le crisi e ad affrontare le ingiustizie”. Nel saggio La storia per un domani possibile – Innovazioni e cambiamenti sociali che hanno avuto successo. E perché (edizioni Ambiente), Roman Krznaric, Senior Research Fellow presso il Centre for Eudaimonia and Human Flourishing dell’Università di Oxford e fondatore del primo Empathy Museum al mondo, esplora mille anni di storia per offrire ispirazioni radicali con cui affrontare le incognite di questo secolo: crisi climatica, Intelligenza artificiale, iperconsumismo e diseguaglianze. Un libro che il filosofo sociale definisce “un gemello del mio precedente Come essere un buon antenato, che esplora la nostra necessità di guardare al futuro lontano e le responsabilità che abbiamo nei confronti dei cittadini di domani. Guardare sia al passato che al futuro è una cura per l’ossessione cronica della nostra cultura per il presente”.
Quali sono le ispirazioni che possiamo trovare nel passato per affrontare le questioni e i problemi più grandi di oggi?
Sono rimasto stupito da quanta ispirazione sia sepolta nel passato, di cui non ero a conoscenza. Nel Giappone del XVIII secolo, ad esempio, esisteva quella che oggi chiameremmo un’“economia circolare” a spreco zero nella città di Edo, l’odierna Tokyo, dove vivevano oltre un milione di persone. Nella città spagnola di Valencia esiste da centinaia di anni un Tribunal de las Aguas – un tribunale delle acque – dove gli agricoltori locali controllano democraticamente la gestione delle loro scarse risorse idriche. Oppure pensate all’Emilia Romagna, dove un terzo dell’economia si basa su cooperative le cui radici risalgono al XIX secolo o anche prima: è una storia viva che offre ispirazione per ridisegnare le nostre economie. Goethe aveva ragione sul valore della storia: “Chi non può contare su 3.000 anni vive alla giornata”.
Una cosa che possiamo imparare dal passato è che ribellione e radicalismo sono necessari. Purtroppo in Italia, ad esempio, Ultima Generazione ed Extinction Rebellion sembrano aver perso l’attenzione dell’opinione pubblica. E anche la voce di Greta Thunberg non è più forte come qualche anno fa.
Le proteste dei movimenti sociali vanno sempre a ritroso: le persone perdono energie, il sistema sembra troppo difficile da cambiare: ma ho fiducia che questi movimenti torneranno, perché tutti gli altri percorsi verso un cambiamento trasformativo stanno fallendo. Non riesco a immaginare che i politici o il mondo imprenditoriale facciano ciò di cui abbiamo bisogno. Non dimentichiamo che il potere dei movimenti dirompenti ha una lunga e vittoriosa storia che risale agli schiavi nei Caraibi nel XIX secolo, a coloro che si ribellarono al colonialismo britannico in India e al movimento per i diritti civili degli Stati Uniti.
Secondo lei, la storia conferma anche che il “noi” può prevalere sull’“io”, che esistono alternative al capitalismo, che gli esseri umani sono innovatori sociali, che altri futuri sono possibili: è un invito a non scoraggiarsi?
Faccio una distinzione tra “ottimismo” e “speranza”. Vedo l’ottimismo come un atteggiamento del tipo “vedo il bicchiere mezzo pieno”, in cui tutto andrà bene nonostante l’evidenza. Non sono ottimista sul futuro dell’umanità, ma sono fiducioso. Per me, la speranza significa impegnarsi per la propria visione e i propri valori, anche se le probabilità di successo sono a sfavore. Dobbiamo sempre agire come se il cambiamento fosse possibile, perché da quello che ho visto nella storia, potrebbe esserlo.
Sembra auspicare una collaborazione tra scienze naturali e climatiche e scienze storiche. Purtroppo, in Italia questa visione manca, sia perché chi si occupa di storia sa poco di clima, sia perché chi si occupa di clima, in un certo senso, non vuole contaminarsi con la storia “incerta”. Come convincere entrambi?
Spero che il mio nuovo libro funga da ponte tra chi si occupa di temi come il clima e chi ha una passione per la storia, mostrando il valore di un dialogo tra i due mondi. Ma si può anche guardare a figure italiane che trascendono i confini, come Carlo Rovelli, un fisico che riesce a essere sia poetico che politico. È tempo di far rivivere l’ideale del generalista rinascimentale: puntare a essere un “vasto realizzatore”, non solo un grande realizzatore.
Quella che lei definisce “la tirannia del presente” è un male che affligge soprattutto i politici. Con le elezioni sempre dietro l’angolo, sono rari i politici che mettano in atto soluzioni a lungo termine. La democrazia favorisce la transizione ecologica e il cambiamento oppure no?
È vero che la democrazia soffre di cicli a breve termine, ma molte democrazie stanno ora integrando la visione a lungo termine nelle loro strutture di governance. In Galles, ad esempio, hanno un commissario per le Generazioni Future il cui compito è valutare l’impatto delle politiche pubbliche fino a 30 anni da oggi. È un’idea brillante e contribuisce a garantire che adottino pratiche di sostenibilità progressiste. Una cosa è certa: il sogno di un “dittatore benigno” che venga in nostro soccorso ecologico è esattamente questo: un sogno. Esistono solide prove storiche che le democrazie superano le autocrazie quando si tratta di politiche pubbliche progressiste a lungo termine.