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L’involuzione della finanzia (in)sostenibile, Baranes: “Se tutto diventa investimento etico Esg non lo è più niente. Inconcepibili alcune scelte”

Intervista all'ex membro del cda di Banca Etica sui pericoli di una definizione troppo ampia del concetto di sostenibilità e su come i risparmiatori possono orientarsi in questo contesto
L’involuzione della finanzia (in)sostenibile, Baranes: “Se tutto diventa investimento etico Esg non lo è più niente. Inconcepibili alcune scelte”
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Andrea Baranes è stato membro del Consiglio di amministrazione e del Comitato esecutivo di Banca Etica fino al 2022, è attualmente ricercatore presso la Fondazione Finanza Etica e membro dei board delle reti europee Finance Watch e FEBEA (Federazione delle Banche Etiche e Alternative Europee). Ha scritto diversi libri, da ultimo “O la Borsa o la vita. Banche e finanza internazionale: i peggiori nemici del clima”, edito da Ponte alle Grazie.

Dottor Baranes, prima le fonti fossili, ora persino missili e bombe. Ormai sotto la sigla Esg c’è davvero di tutto….
Sì, la situazione è molto preoccupante ed è via via peggiorata. Una continua involuzione. La Commissione Ue era partita bene con una tassonomia, inizialmente sui soli criteri ambientali per poi estendersi al resto. Poi però abbiamo visto un progressivo allargamento delle maglie della sostenibilità che ha portato a includere nella categoria persino gas, nucleare ed ora armi. Ma è facile capire che se tutto diventa sostenibile nulla lo è più. Alcune scelte sono per noi incomprensibili. Storicamente, le armi sono sempre state la prima voce ad essere esclusa da investimenti ispirati a un qualche criterio etico. Oggi c’è un colosso come Allianz pensa di includere tra i possibili investimenti dei suoi fondi Esg persino le bombe nucleari.

A volte però si fa un po’ di confusione tra finanza etica e finanza sostenibile. Quali sono le differenze principali?
Innanzitutto la finanza etica prevede la completa esclusione di certi settori come appunto le armi o il nucleare ma anche, tra gli altri, gli allevamenti intensivi. E poi ci sono impegni più stringenti sulla trasparenza, mostrando dove vengono investiti i soldi euro per euro. Ciò spesso non accade per molti prodotti Esg che anzi sfruttano una certa vaghezza e opacità regolamentare e “normativa” per sembrare più sostenibili di quello che sono in realtà. Va detto che questa scarsa trasparenza è favorita da un’assenza di definizioni precise e condivise su cosa sia o non sia sostenibile, il risultato è che ognuno fa un po’ come vuole.

Cosa dovrebbe fare allora un risparmiatore che davvero volesse investire il suo denaro in modo sostenibile, senza rinunciare al guadagno ma non considerandolo l’unico criterio di scelta?
È fondamentale informarsi e dedicare un po’ di tempo alla scelta del prodotto adatto. Ad esempio chiedendo a chi lo propone se siano previsti dei criteri di esclusione, che impediscono di investire in determinati settori, e quali siano i criteri in base a cui vengono scelte le aziende su cui puntare.

I green bond (obbligazioni per finanziare progetti ambientali) sono un’alternativa valida?
Anche in questo caso dipende. Alcuni sono ottimi, altri assolutamente no. Vale quanto detto prima sulla necessità di informarsi sulle caratteristiche dei singoli prodotti.

Per la prima volta, anche in Europa, i deflussi di capitali dal comparto hanno superato le nuove sottoscrizioni. Teme che questa confusione che regna nel settore e la scarsa trasparenza di molti prodotti possa finire per scoraggiare gli investimenti sostenibili?
Questo tentativo di ricomprendere sempre più aziende sotto la definizione di sostenibile è il frutto di una fortissima pressione da parte di lobby e governi. Ciò accade perché risparmiatori e investitori istituzionali come fondi pensione o di investimento vogliono e cercano la sostenibilità, quindi nessuno vuole restarne fuori. La domanda c’è e cresce, certamente, come dicevano all’inizio, se le maglie continuano ad allargarsi diventa difficile poter parlare ancora di sostenibilità.

Di recente la Commissione Ue ha anche proposto di rivedere ed armonizzare in un unico testo le diverse direttive che si occupano di sostenibilità e finanza sostenibile (cosiddetto “pacchetto Omnibus”). Come sta andando?
L’intenzione iniziale, ovvero la necessità di semplificare e ridurre il peso normativo e burocratico sulle imprese, era buona. Ma in realtà la proposta messa a punto dalla Commissione è pessima. Sono state smantellate molte delle disposizioni e principi che erano stati approvati nell’ultimo decennio. Per questo oltre 350 organizzazioni del settore di tutta Europa chiedono al Parlamento e al Consiglio Ue di intervenire per bloccare la riforma. Tuttavia, nel clima attuale di Bruxelles, è difficile pensare che verrà invertita la rotta.

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