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Alphonse Mucha, il visionario dai mille talenti e dallo stile inconfondibile al servizio dell’ottimismo progressista

Grafico, pittore, scenografo, designer, creatore di gioielli, artista del packaging: il padre dell'Art Nouveau tra arte e pubblicità, mito e folklore in una mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara fino al 20 luglio

di Serena Tacchini

All’impallidire della Belle Époque, minacciata all’orizzonte dai fulmini della Storia, c’era ancora chi credeva nella forza redentrice dell’arte al servizio dell’umanità: Alfons Mucha [Ivančice, Cecoslovacchia, 1860 – Praga, 1939], figlio della civiltà industriale modernista, nell’ultimo decennio del XIX e nel primo del XX secolo interpretò con la sua estetica lo sforzo progressivo, economico e tecnologico di un’epoca di grande rinnovamento, narcisista e ottimista. Elevando la comunicazione pubblicitaria a espressione artistica accessibile, Mucha ridefinì l’ideale di bellezza e raffinatezza quando le sue opere rifuggirono i salotti dell’alta società per diventare cartelloni e manifesti affissi sui muri di tutta Europa (ma anche stampe, calendari, cartoline, suppellettili d’arredo). L’oggetto reclamizzato nelle affiches è il pretesto di sperimentazioni che attraggono il passante e lo trasportano in un mondo onirico: motivi floreali e rampicanti avvolgono languide creature femminili, fiori di una primavera incisa nel vetro che non appassiranno mai; nei dettagli dai toni delicati e dai ritmi ciclici palpita il sottobosco fatato in cui Mucha cristallizzò l’essenza più pura dell’Art Nouveau.

Palazzo dei Diamanti di Ferrara dedica al maestro boemo una straordinaria monografica che sarà visitabile fino al 20 luglio 2025: nelle undici sale dell’ala Rossetti, 150 opere – dipinti, disegni, fotografie, manifesti e oggetti – tendono la mano alla mostra-dossier dedicata al ritratto femminile di Giovanni Boldini, ospitata nelle tre sale dell’ala Tisi (un unico biglietto, due mostre da non perdere). Curata da Tomoko Sato con il coordinamento scientifico di Francesca Villanti, Alphonse Mucha ne ripercorre immersivamente la vicenda personale e artistica segnata un estro poliedrico e visionario: Mucha fu illustratore, grafico e pittore ma anche fotografo, scenografo, progettista d’interni, creatore di gioielli, packaging designer; il suo lato patriottico e mistico lo portò ad avere fede nella pace e nell’unità dei popoli slavi e a diffonderla tramite l’insegnamento e la filosofia.

Nello stesso anno in cui l’insegna del negozio di Siegfried Bing consacrava il nome del movimento Nouveau, la Ville Lumière riconosceva ad “Alphonse” Mucha la fama imperitura la cui eco sarebbe arrivata oltreoceano: nel 1895 il maestro ceco illustrò la “Divina” Sarah Bernhardt nel rivoluzionario manifesto teatrale della Gismonda, punto di non ritorno nella cartellonistica che fino ad allora aveva conosciuto l’ironica esuberanza di Chéret e Toulouse-Lautrec. Per la prima volta le affiches furono degne di trasmettere messaggi universali e in esse Mucha nascose radici e anima: la Gismonda si impone ieratica nella nicchia come una regina bizantina incoronata di orchidee, la Medea è sconvolta dalla strage appena commessa, gli occhi lividi e il pugnale insanguinato ancora tra le mani (lo stupendo bracciale a forma di serpente fu commissionato davvero al gioielliere Fouquet). Mucha cantò la redenzione nella bellezza della donna artefice del proprio destino, finalmente padrona di un intelletto per secoli negato. Intrappolò i sogni di gloria della borghesia moderna e spregiudicata nelle volute di fumo e nei capelli fluenti delle sue donne, per farli annegare nei ricami dei loro panneggi. Atmosfere di respiro simbolista e teosofico, magiche contaminazioni orientali e suggestioni giapponesi si piegano a una tensione descrittiva della realtà ambigua, che affonda le radici nell’Inghilterra dei Preraffaelliti e di William Morris. L’inconfondibile “Stile Mucha” si nutre di rimandi islamici, bretoni e celtici ma soprattutto all’artigianato moravo e alle chiese barocche ceche; i suoi motivi ornamentali sono alfabeti di idiomi visivi in continua evoluzione, portatori di un messaggio che unisce passato, presente e futuro.

Finché la macchina del progresso si inceppò e la porta della Storia girò sui cardini: il sogno di libertà dall’oppressione asburgica s’infranse nel 1939, quando la Germania invase la Cecoslovacchia. Mucha fu tra i primi a essere arrestati e interrogati dalla Gestapo in quanto cittadino di spicco e massone; morì nello stesso anno e la sua arte si spense con lui fino alla riscoperta nella Swinging London degli Anni Sessanta. Dietro il velo dell’ornamento si cela il senso del pensiero di Mucha: con la sua opera volle gettare un ponte tra il visibile e l’invisibile, tra forma e contenuto, sopra il fiume in piena delle mode effimere. Nell’arte cercò la stabilità, nella bellezza trovò la garanzia di una società migliore. La sua opera è attesa di un nuovo inizio, preghiera che quell’universo di figure libere e leggere fiorisca davvero, allegoria del valore curativo di una bellezza senza tempo che l’artista ha il compito di riconoscere e regalare a chi vorrà guardarlo.

Alphonse Mucha, il visionario dai mille talenti e dallo stile inconfondibile al servizio dell’ottimismo progressista

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