Con l’esplosione della primavera e l’aumento delle temperature, torna a farsi sentire la presenza invadente della Takahashia japonica, una cocciniglia esotica meglio conosciuta come la “signora degli anelli” o “cocciniglia dai filamenti cotonosi“. Le sue caratteristiche formazioni bianche ad anello, gli ovisacchi che contengono le future larve, stanno nuovamente ammantando i rami di numerosi alberi in molte zone del Nord Italia, con una particolare concentrazione in Lombardia, suscitando la preoccupazione dei cittadini. Questi ovisacchi, dalla consistenza quasi gommosa e spesso scambiati per nidi di processionaria o addirittura per vermi, sono il segno più evidente dell’infestazione. Una volta schiusi (solitamente tra fine maggio e inizio giugno), le giovani neanidi si spostano per attaccare le foglie della pianta ospite o di altre essenze vicine, nutrendosi della loro linfa.
La buona notizia, come sottolineano le autorità sanitarie e fitosanitarie, è che la Takahashia japonica non rappresenta alcun pericolo diretto per la salute dell’uomo o degli animali domestici. Anche un contatto accidentale con gli ovisacchi caduti al suolo non comporta rischi. La preoccupazione, però, è reale per la salute delle piante. Le specie più colpite, come conferma il Servizio Fitosanitario della Regione Lombardia, includono l’acero, l’albizia, l’albero di Giuda, il carpino bianco, il gelso nero e bianco, l’olmo e il liquidambar, quest’ultimo molto diffuso in parchi, giardini e viali alberati.
Un “ospite” recente e difficile da contrastare
Originaria dell’Estremo Oriente (Giappone, Corea del Sud, Cina) e del subcontinente indiano, la Takahashia japonica è un “ospite” relativamente nuovo per l’Italia. Il primo avvistamento ufficiale risale al 2017, in un parco comunale di Cerro Maggiore, tra le province di Milano e Varese. Da allora, si è diffusa rapidamente, interessando anche il Comasco e la Brianza. La sua trasmissione avviene per contatto o spostamento passivo su brevi distanze (anche a causa del vento), mentre sulle lunghe distanze il veicolo principale è il trasporto di ramaglie infestate. La cattiva notizia, come riporta il Corriere della Sera raccogliendo il parere degli esperti, è che al momento non esiste un trattamento specifico e codificato per debellarla. “Non esistono fitofarmaci specifici o comunque universalmente efficaci”, spiegano. L’idea di un contrasto biologico attraverso l’uso massiccio di coccinelle (come l’Adalia bipunctata), pur avendo mostrato una certa efficacia in contesti limitati, non convince pienamente gli esperti per il rischio di alterare gli equilibri naturali locali.
Cosa fare? Potatura mirata (ma con cautela)
L’unica strategia di contenimento attualmente praticabile sembra essere la rimozione meccanica dei rami infestati, un’operazione da effettuare prima della schiusa degli ovisacchi. Tuttavia, questa azione è consigliabile solo se l’infestazione è limitata. Una potatura eccessiva su alberi fortemente colpiti potrebbe causare danni maggiori di quelli arrecati dall’insetto stesso. Inoltre, il trasporto delle ramaglie tagliate verso le discariche, se non gestito con estrema cautela e secondo protocolli precisi (che al momento mancano a livello nazionale), rischia di diffondere ulteriormente il parassita. Inutile, secondo gli esperti, intervenire con sostanze chimiche sugli ovisacchi. Eventuali trattamenti andrebbero mirati sulle forme giovanili dell’insetto (neanidi), ma anche qui si naviga a vista: si sperimentano olii minerali, olii essenziali d’arancia o di neem, sali di potassio e preparati microbiologici, ma senza protocolli certificati e con risultati ancora da validare su larga scala. La Regione Lombardia sta procedendo con la mappatura delle segnalazioni (anche attraverso l’app FitoDetective) e ha predisposto delle linee guida per la gestione, in attesa che la ricerca scientifica individui piani d’azione più efficaci e risolutivi per questo tenace e vistoso parassita.