“La morte è qualcosa di assolutamente complementare alla vita. Ineluttabile fine di un percorso. Quindi sì che ci penso, anzi, vivo sapendo che prima o poi finirà. Ma proprio per questo cerco anche di mettere quel pensiero in un angolo, e concentrarmi invece su come vivere pienamente gli anni che mi restano”: così Luca Montezemolo ad Antonio Polito sul Corriere della Sera. Si tratta di una delle interviste di una seria centrata proprio sul tema della morte, e ricordiamo per esempio quella fatta a Cacciari.
Polito continua chiedendo all’imprenditore se abbia paura della morte: “Ci sono due modi possibili di uscire di scena. Il primo è quello tradizionale che io chiamo di “fine carriera”, per anzianità, e questo mi lascerebbe il tempo di fare tutte le cose che non ho avuto il tempo di fare o che prima mi erano impossibili, in quella vita a 300 all’ora di cui lei parlava, sempre con la faccia in vetrina. Per esempio: mi sono dato all’agricoltura, che per me è diventata una grande passione. Nell’azienda che possiedo dalle mie parti, alle porte di Bologna, lavoro con l’obiettivo di rendere la mia famiglia totalmente autonoma dal punto di vista alimentare, producendo direttamente tutto il loro fabbisogno (formaggio a parte, quello lo prendo da un’amica che ha le pecore). Penso infatti che la qualità del cibo sia oggi un bene prezioso, e che ancor più lo diventerà. Di questa morte da ‘fine vita’ non ho paura. L’accetto. È ineludibile. Invece mi fa più paura la morte improvvisa”.
Eppure, fa notare Polito, “i vantaggi della morte istantanea, senza sofferenza, senza neanche averne consapevolezza, sono da sempre un luogo comune molto diffuso”: “Vero, magari si soffre meno: almeno teoricamente è meglio un infarto nel sonno che una lunga malattia. Però il vero guaio della morte è soprattutto la sottrazione di vita. E una scomparsa improvvisa di vita te ne ruba di più: la lascia incompiuta, interrompe a metà i tuoi progetti. Io ne ho ancora davvero tanti. Ho cinque figli. L’ultimo ha solo 14 anni, e vorrei vederlo crescere”.
E la chiacchierata prosegue, interessante, dalla fede al dolore per la morte di Enzo Ferrari e Gianni Agnelli al “quadernino su cui da tempo scrive a mano idee e disposizioni per il dopo”: “Detesto le persone che non hanno amici, ma anche quelle che sono amiche di tutti. Vorrei che venissero a salutarmi tutte le tante persone importanti della mia vita, ma vorrei anche che non venisse qualcuno che mi ha fatto del male”. Come vorrebbe essere ricordato? “(…) ma sì, perché no? Un patriota. Del resto, nelle condizioni in cui è l’Italia, con una persona su quattro che vive in povertà, con il divario di reddito che si allarga di continuo, con i salari reali che vanno indietro invece che in avanti, con il Sud che è una polveriera, con le liste di attesa negli ospedali che vanificano di fatto il carattere pubblico e universalistico della nostra Sanità, di patrioti mi pare che ce ne sia un gran bisogno”.