Nel campionato di calcio in corso sono tornati toni da pre-Var: vittimismo e psicodramma collettivo
di Leonardo Botta
Sono un tifoso mediamente appassionato di calcio. Da supporter napoletano sono cresciuto nella costante frustrazione provocata dallo strapotere della Juventus, principale fornitrice di calciatori alla nazionale ai tempi dei blocchi bearzotiani e artefice di frequentissime vittorie di campionati, molte delle quali maturate dopo episodi ferocemente contestati: il gol del romanista Turone annullato per improbabile fuorigioco (stagione 1980/81), le più che dubbie decisioni arbitrali in Catanzaro-Juve e Cagliari-Fiorentina (81/82), il rigore negato per un placcaggio da football americano di Juliano su Ronaldo (97/98), il colpo di testa di Muntari (2011/12) con la palla respinta da Buffon mezzo metro oltre la linea di porta. Insomma, ho sempre masticato bile di fronte a quelle che noi figli di un dio del calcio minore ritenevamo essere le reiterate vessazioni della “Signora”, forte di una dirigenza che faceva e fa capo a uno dei principali colossi industriali italiani (che oggi tanto italiano non è più).
Per cui salutai con comprensibile (e ritengo legittima) soddisfazione l’esemplare punizione che procure e federazioni sportive inflissero al club bianconero in seguito allo scandalo di Calciopoli; correva la stagione 2005/06, le inchieste portarono all’emersione di sconcertanti episodi di sudditanza, non solo psicologica, da parte della classe arbitrale nei confronti della squadra più blasonata d’Italia guidata dalla famigerata Triade, alias “Banda Bassotti”, Bettega/Giraudo/Moggi. La retrocessione (per la prima volta nella sua storia) del club in serie B fu un momento di irrefrenabile gioia per tutta l’Italia che bianconera non era.
E analoga, più ponderata soddisfazione ho mostrato quando sono state introdotte le varie innovazioni tecnologiche a supporto delle decisioni arbitrali: la Goal Line Technology, il Fuorigioco semiautomatico (Soat), il Var (Video Assistant Referee). Soprattutto l’avvento dell’ultimo dispositivo era sembrato una rivoluzione copernicana per il mondo calcistico, da tutti invocato a più riprese e che sembrava aver risolto, insieme con le altre diavolerie, l’annosa questione delle contestazioni alle ex “giacchette nere”. E per i primi tempi sembrava infatti che le partite di calcio fossero diventate delle feste di fair play, quasi come il rugby: quando il direttore di gara faceva il segno del rettangolo con le mani, era cassazione; non vedevi più quei capannelli di giocatori inferociti o quelle mandrie scatenate di ultras sugli spalti. E gli attaccanti ci pensavano non una, ma cento volte prima di darsi per morti a ogni minimo contatto con i difensori avversari in area.
Poi, pian piano, nel paese dei Guelfi e dei Ghibellini il retropensiero di sessanta milioni di arbitri e tifosi, gli uni contro gli altri armati, sta pienamente riprendendo il suo possesso territoriale nelle tribune televisive, sulla carta stampata, davanti ai bar e naturalmente in quello sconclusionato e sgrammaticato mare magnum che sono i social media. E, nel campionato più mediocre e combattuto degli ultimi anni che vede Napoli e Inter distanziati di un solo punto in classifica a una giornata dalla fine, sono rimontati lo psicodramma collettivo e le manie di persecuzione di opposte tifoserie pronte a dannarsi per un’unghia in fuorigioco, per l’arbitro che ora va al Var mentre ieri, per un’analoga azione, non ha avuto la segnalazione dei colleghi “varisti” in sala regia. Il teatro del vittimismo è alimentato, naturalmente, dai milioni di frame che la tecnologia ha reso disponibile per ogni azione di gioco, di cui ognuno estrapola quelli che portano acqua al proprio mulino di piagnistei.
Insomma, tomi tomi cacchi cacchi, stiamo tornando a quel clima che un tempo veniva deliziosamente sintetizzato da Oronzo Pugliese, compianto allenatore il quale, a un giornalista che gli chiedeva un pronostico per la partita seguente, rispondeva seraficamente: “Undici siamo noi, undici sono loro, la palla è rotonda, la porta è quadrata, l’arbitro è cornuto…”.