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Lavoro precario, sicurezza per strada e riconoscimento del ruolo di caregiver: l’Atlante di genere di Bologna per una città più inclusiva

Il progetto, nato dalla collaborazione tra Comune, Sex & the City e The Period ThinkTank, ragiona sul rapporto tra pianificazione urbana e soggettività per accogliere minoranze e abbattere differenze
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Proviamo a chiudere gli occhi sforzandoci di immaginare come sarebbe una città fatta su misura per donne e minoranze di genere. A cosa penseremmo? E soprattutto: quanto sarebbe difficile decostruire le tradizionali coordinate urbane? A queste domande hanno provato a rispondere le associazioni Sex & The City e Period ThinkTank mettendo a punto, in collaborazione col Comune di Bologna, il primo Atlante di Genere di Bologna. Per una città femminista. Un progetto di ricerca che non arriva isolato, ma in continuità con altri due “Atlanti di genere” promossi dalle città di Milano e Parma.

Un Atlante sui generis che garantisce “luoghi a misura di tutti i corpi” – L’Atlante di genere nasce con l’obiettivo di trasformare i luoghi urbani in spazi inclusivi, rimodulati sulle categorie del femminismo e dell’intersezionalità, per neutralizzare le disparità di genere e costruire una città (dunque, una società) più equa e plurale. L’assunto di partenza è che l’architettura urbana non sia neutra ma viva dei modi in cui i corpi narrano e danno senso alle strutture circostanti. Tutto dipende da quali corpi si vuol mettere al centro delle politiche e così per l’Atlante è necessario un ripensamento della geografia urbana che valorizzi non solo le donne ma le soggettività più spesso dimenticate e silenziate come quelle LGBTQIA+, le bambine e le migranti. Il progetto nasce dopo anni intensi di collaborazione tra soggetti ed istituzioni, quando nel 2021 il Comune ha aderito alla campagna #datipercontare: da allora due, fra tutti, sono stati gli strumenti essenziali dell’iniziativa. Anzitutto le mappe tematiche, di cui l’Atlante è disseminato e che traducono “visivamente” i dati disaggregati raccolti; poi il progetto “Verso un Atlante di genere” basato su questionari utili a rispondere a molte domande legate a sicurezza (economica, pubblico-urbana, domestica), diritto alla salute e violenza di genere. L’appello aveva raggiunto, tra novembre 2023 e gennaio 2024, 3.472 persone, spingendone ben 2.941 a rispondere. Al centro dell’indagine di questo libro critico almeno otto sfere tematiche: le disuguaglianze sul lavoro, la sicurezza (percepita o reale) nello spazio pubblico, specie di sera o di notte, mobilità e servizi, la sanità (“disallineata” rispetto ai bisogni differenziati) e l’abitare. E ancora: la toponomastica, il lavoro di cura e il sex work.

Condizione lavorativa e servizi a sostegno di infanzia e caregivingI dati raccolti sul quadro lavorativo a Bologna permettono di fare luce su almeno tre criticità dove le disuguaglianze di genere sono più evidenti. Anzitutto il fenomeno delle dimissioni volontarie: una ricerca condotta dall’Ateneo bolognese in collaborazione con l’Ispettorato del Lavoro conferma come “oltre il 70% delle convalide di dimissioni riguarda le donne“. Il motivo è presto detto: la difficoltà di conciliare lavoro e vita familiare. Lungi dall’essere una scelta libera e “volontaria” dunque, le donne si trovano spesso costrette a dover rinunciare alla carriera per provvedere al nucleo domestico, accontentandosi di lavori part-time o lavori dipendenti. Gli uomini, viceversa, se si dimettono lo fanno principalmente per passare ad altre aziende, e comunque con molte più possibilità di aspirare a professioni autonome. Secondo il report 2023 I numeri di Bologna Metropolitana, “il gap dei tassi di attività maschile e femminile si attesta intorno a 11,3 punti percentuali in media a discapito delle donne“. In particolare, “nell’ultimo anno il tasso di attività maschile arriva a quota 80%, quello femminile supera il 68%“.

La seconda criticità riguarda invece la correlata gestione delle risorse finanziarie, verso cui le donne mostrano maggiore insicurezza e stress rispetto agli uomini: come informa il questionario realizzato per il progetto Verso un Atlante, davanti ad un’improvvisa ipotetica spesa di 2.000 euro, solo il 42,01% delle donne afferma di sapersi “destreggiare”, rispetto al 52,38% degli uomini. Numeri che svelano altro: disparità di reddito e/o vulnerabilità economiche, maggiori tra le donne che pure si sentono addosso pressione e responsabilità nella gestione e nel risparmio delle risorse. Oltre al fenomeno silenzioso (ma strutturale) del gender pay gap, oltre agli ostacoli occupazionali, la terza criticità: la conciliazione tra lavoro, vita privata e impegni di cura (caregiving). “Cura” della famiglia, di bambini, anziani e disabili, che non possono accontentarsi di una prerogativa esclusivamente femminile e che rivendicano democraticità d’impegno e sostegno alla genitorialità. Proprio con queste finalità il Comune di Bologna ha approvato progetti rivolti alla prima infanzia. E per sostenere invece il ruolo dei caregiver familiari (in prevalenza donne), l’Emilia Romagna è diventata la prima regione ad approvare una legge che ne definisce ruoli e bisogni.

Percezione di sicurezza in spazi pubblici – In che modo, nelle città, la “percezione” di (in)sicurezza è collegata al genere? Il questionario dell’Atlante fa emergere alcuni dati: innanzitutto il fatto che alcune zone di Bologna (area stazione, Bolognina, piazza Verdi) risultano più “spaventose” di altre per via di cofattori materiali (illuminazione, visibilità, infrastrutture) e socio-culturali (mancanza di attività inclusive o paesaggi sono “rassicuranti”). Poi i numeri: oltre la metà (53,45%) delle donne rispondenti ha dichiarato di essere stata seguita almeno una volta, una percentuale che cozza col 69,74% di uomini che afferma di non aver mai vissuto simile esperienza. Il senso di sicurezza è poi legata alla fascia oraria, come conferma la maggioranza delle donne intervistate, che “si sente sicura mentre cammina di giorno in città”. Di notte invece le cose cambiano sensibilmente: “Il 27,36% indica una sensazione di insicurezza frequente, il 27,36% si sente spesso insicura, e il 25,98% prova paura la maggior parte delle volte”. A ciò si aggiungono conseguenti episodi di molestie verbali e sessuali, che ancora una volta tracciano, per maschi e femmine, due tendenze totalmente divergenti. Il 70,81% delle donne dichiara di aver subito catcalling (con varie frequenze), mentre l’80,46% degli uomini non ne è mai stato soggetto. E ancora: se l’83,37% degli uomini afferma di non aver mai subito molestie sessuali, il 40,12% delle donne si trova concorde nel confermare la violenza.

Per ridurre i rischi, le donne a Bologna sono costrette ad adottare strategie individuali e preventive, ma sono soluzioni che ancora una volta testimoniano la poca inclusività urbana. È così che un lavoro di focus group ha permesso di proporre alcune risposte concrete all’insicurezza pubblica. Non solo: sono state organizzate “camminate esplorative” tra donne, soggetti queer e tecnici pubblici con l’intento di “mappare” le aree urbane più “critiche” in base all’esperienza quotidiana di ciascun partecipante (un atto anche di simbolica riappropriazione dello spazio). Sono emerse misure percorribili come l’installazione di panchine in piazza Aldrovandi e di colonnine SOS, oppure il miglioramento dell’illuminazione in via dell’Unione. Due gli interventi promossi per garantire una mobilità più gender-sensitive“: il primo, quello del “Piano della Notte“, che ha permesso di integrare il trasporto pubblico con 8 linee di bus notturno a collegamento del centro con la periferia, e attive nei weekend e prefestivi ogni 30 minuti, e che ha istituito le figure dello “street host” e dello “street tutor” col compito di “fornire un accompagnamento per attraversare zone percepite come insicure”. Il secondo intervento invece, l’istituzione di un’estesa zona urbana a 30 km/h, necessaria per agevolare i pedoni, ridurre incidenti e garantire vivibilità.

Il diritto all’aborto tra obiettori di coscienza e disinformazione – Un altro aspetto affrontato nelle ricerche per l’Atlante è stato quello sulla sicurezza dei diritti riproduttivi. Le risposte raccolte hanno evidenziato difficoltà nell’esercizio di questi diritti, anche all’interno delle strutture sanitarie pubbliche. Difficoltà legate, ad esempio, all’obiezione di coscienza del personale ginecologico che “varia dal 25,8% dell’Ausl di Bologna al 48,8% dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Bologna”. Ma ostacoli sono anche quelli posti dall’accesso limitato a informazioni aggiornate sul tema: una carenza (diffusa su tutto il territorio nazionale, come si legge nell’Atlante) a cui diverse associazioni hanno cercato di rimediare pubblicando una Guida pratica all’aborto rivolta a chi supporta l’IVG o a chi pensa di affrontarla, e necessaria per monitorare l’accessibilità al servizio. L’Ausl bolognese resta una delle Aziende dov’è maggiormente offerto l’aborto farmacologico.

Spazio domestico e diritto all’abitareÈ nell’ultimo decennio che a Bologna il concetto di casa ha assunto una rilevanza via via maggiore, soprattutto alla luce delle fragilità strutturali emerse in relazione al sistema abitativo locale. Un cocktail di carenze e problemi – gli affitti brevi e l’aumento dei canoni di locazione, l’impoverimento delle famiglie e l’incremento di sfratti, nonché l’impennata di domande di sussidi pubblici e alloggi – che si è scontrato con la necessità di ragionare nei termini di un abitare collettivo e collaborativo. In questa prospettiva il co-housing (la convivenza volontaria di diversi attori sociali) è visto come strumento utile a costruire ponti tra persone discriminate per il loro passato migratorio o per l’orientamento sessuale. Secondo quanto emerso, “discriminazioni nell’affitto a causa dell’orientamento sessuale sono state segnalate dal 24,38% delle persone omosessuali, dal 17,64% delle persone asessuali, dall’11,4% delle persone pansessuali e dal 10,37% delle persone bisessuali“. Mentre tra gli etero solo il 4,5% parla di discriminazioni. Anche il fatto che gli uomini (32,71%) contribuiscano economicamente molto più delle donne (28,99%) al mantenimento della casa, o che più donne siano in affitto a spese della famiglia, conferma il sostrato di disparità di genere in ambito domestico su cui urge intervenire. La soluzione co-abitativa è stata adottata proprio con l’obiettivo di appianare le disomogeneità e per collocare le soggettività più fragili all’interno, per esempio, di percorsi di uscita da situazioni di violenza domestica.

L’obiettivo dell’Atlante di genere è quello di guardare in modo critico la società che ci circonda, considerando elementi che possono essere spie di potere di categorie sociali privilegiate. E non da ultimo, ad esempio, viene citata la toponomastica. Tant’è che alla domanda “a chi sono intitolate di più piazze e strade?” la risposta è stata quasi sempre “uomini”. Dal 2020 la campagna Toponimi Femminili a Bologna intitola spazi urbani a donne “che hanno avuto un ruolo nella storia, non solo religiosa”. Per dare nuova forma alle cose partendo dai nomi.

*Foto dalla pagina Facebook di Period Think Tank

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