“Il sette maggio è stato un giorno di solitudine”, queste le parole di Maria Antonietta Gregori ai microfoni di Radio Cusano Campus, in occasione dei 42 anni dalla scomparsa di sua sorella Mirella, risucchiata dal buio in un sabato di maggio del 1983 dopo aver chiuso la porta di casa alle sue spalle. Disse alla madre: “Torno tra dieci minuti” e invece svanì senza lasciare tracce. Tutto ciò che sappiamo ad oggi è che prima di scendere, intorno alle 15,30 le aveva citofonato un suo amico, tale Alessandro, chiedendole di incontrarlo davanti alla statua del bersagliere a Porta Pia, all’inizio della via Nomentana dove lei viveva con la sua famiglia. L’unico Alessandro conosciuto dalla famiglia di Mirella dichiarò all’epoca che non la vedeva da almeno due anni: fu lì che la famiglia lanciò l’allarme e iniziò a girare per ospedali e parchi. “Così è cominciato il nostro calvario”: ha raccontato anni fa sua madre in un’intervista.
“Sono rimasta a casa a pensare alle mille cose successe in questi 42 anni. Mi ha tirato su il morale solo il pensiero positivo va alla Commissione parlamentare, che sta proseguendo con le audizioni. Spero che vengano ascoltate nuovamente le persone che devono essere ascoltate, anche se Sonia è stata già ascoltata due volte. Io non ce l’ho con lei, non l’ho mai colpevolizzata ma credo che sappia chi doveva incontrare quel giorno mia sorella. Era anche lei solo una ragazzina di 16 anni, o voleva coprire qualcuno o è stata minacciata. La nostra famiglia ha sempre creduto che Sonia sapesse chi doveva incontrare Mirella”: ha dichiarato Maria Antonietta Gregori al giornalista Fabio Camillacci nel corso del programma “La storia Oscura”.
La bicamerale che indaga sulle scomparse della ragazza di via Nomentana e della cittadina vaticana porta nel nome entrambi i cognomi: Orlandi-Gregori. Più volte, Mirella è stata associata al mistero della Vatican Girl ma ad oggi non c’è nulla di concreto che colleghi le due vicende, fatta eccezione per alcuni messaggi ad opera di ambigui personaggi che le rivendicarono insieme probabilmente per poterle strumentalizzare.
Maria Antonietta Gregori ha anche parlato proprio del presunto depistaggio legato a una telefonata ricevuta nel bar di famiglia in via Volturno (lo stesso gestito un tempo dai genitori oggi scomparsi) dove lavorava l’allora fidanzato – oggi suo marito – subito dopo la scomparsa di Mirella: “È stato un depistaggio che ci ha lasciati con gli occhi spalancati. Chi poteva sapere certe cose? Qualcuno molto vicino, che aveva informazioni precise. Non si possono inventare le marche dei vestiti”. Quel giorno, la voce dall’altra parte del cavo elencò infatti a Maria Antonietta tutti gli abiti che indossava Mirella nel giorno della scomparsa, biancheria compresa. “Se non avevano, com’è presumibile, Mirella in ostaggio come fu possibile per questa persona entrare in possesso di queste informazioni? Su chi sia stato a telefonarci si possono fare solo ipotesi,n on si può dire con certezza se si trattasse di Marco Accetti”, aggiunge Maria Antonietta oggi.
E cita il fotografo romano, condannato per omicidio del piccolo Josè Garramon, perché lui stesso più volte si è autodenunciato di entrambe le scomparse senza però portare a una svolta nelle indagini né per Mirella e nemmeno per quella decisamente più intricata di Emanuela. Per Maria Antonietta, che allora era poco più che una ragazzina ma che da quel giorno ha incessantemente lottato per avere giustizia per Mirella, Marco Fassoni Accetti “Vuole solo stare al centro dell’attenzione. Se davvero è coinvolto insieme ad altri, perché è ancora libero? Perché non è stato arrestato? Che fornisca prove. Parla, si autoaccusa, ma resta libero. Lo ha fatto anche nel 2013 davanti al giudice Capaldo. Se dice bugie, lo si smascheri. Altrimenti, si cerchi una soluzione definitiva per capire il suo ruolo nella vicenda. Spero che la Commissione raccolga gli elementi utili da trasmettere alla Procura, affinché venga finalmente aperta un’inchiesta”, ha proseguito poi in merito all’attività della Commissione parlamentare. “Quanti altri anni devono passare per conoscere la verità su mia sorella? Ho cercato di offrire spunti per far luce sul suo destino e spero che il mio ennesimo grido di aiuto venga ascoltato. Stanno lavorando bene, ognuno porta il proprio punto di vista, e insieme potrebbero arrivare alla verità. La Procura ha il potere di farlo”.
Gregori ha poi commentato i diversi atteggiamenti assunti dai Pontefici sul caso: “Da Leone XIV è ancora tutto prematuro. Spero che, una volta informato della situazione – soprattutto riguardo a Emanuela Orlandi, cittadina vaticana – possa agire diversamente. Né Giovanni Paolo II né Papa Francesco hanno mai risposto ai miei appelli a San Pietro. Solo una volta, Giovanni Paolo II visitò la nostra parrocchia: lì mia madre lo incontrò e riconobbe uno degli uomini della scorta. In qualche modo, queste due storie si intrecciano”.