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Boom della cassa integrazione nel 2024 tra i metalmeccanici: +36% in due anni. La Fiom: “Servono nuovi strumenti”

Una crescita repentina, concentrata per lo più negli ultimi dodici mesi. Il sindacato fa di conto anche sui posti persi nei tavoli di crisi nel settore: 13.571 e a rischio ce ne sono altri 19mila
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Un boom dietro il quale si nasconde la perdita di salario e che racconta, in controluce, quanto pesi il continuo calo della produzione industriale negli ultimi due anni. Le ore di cassa integrazione sono aumentate del 36,3% dal 2022 al 2024, passando dai 15,9 milioni di ore di media mensile di due anni fa ai 21,7. Una crescita repentina, concentrata per lo più nei dodici mesi del 2024, visto che nel 2023 si erano fermate a 16,3 milioni.

Il dato finale del 2024, indisponibile a fine anno perché l’Inps ha deciso di aggiornarli solo trimestralmente nonostante l’industria sia in piena crisi, è contenuto nel report “Il lavoro metalmeccanico tra dazi e tavoli al Mimit” frutto del lavoro del centro studi della Fiom-Cgil guidato da Matteo Gaddi.

Nel lavoro – presentato negli stessi minuti il cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella esprimeva la sua preoccupazione per i salari “insufficienti” – la Fiom sottolinea come negli ultimi cinque anni siano andati persi anche 13.571 posti di lavoro nelle quaranta aziende per le quali è aperto un tavolo di crisi al ministero delle Imprese e del Made in Italy.

La Fiom chiede una “ricognizione degli ammortizzatori sociali per definire un nuovo strumento pluriennale” che “preveda piani industriali, occupazionali e formativi contrattati e verificabili trimestralmente e sostegno ai piani di riduzione dell’orario di lavoro favorendo la formazione, la stabilizzazione dei lavoratori precari, e la regolarizzazione di quelli in appalto” attraverso risorse europee, nazionali e regionali.

“In questa situazione è sempre più urgente negoziare con imprese e governo per tutelare gli interessi di sistema – ha sottolineato il segretario generale Michele De Palma – Buona parte dei tavoli al Mimit sono decennali, non dipendono dalla transizione ma una crisi strutturale del sistema industriale”.

Nelle aziende dei settori automotive, siderurgia, elettrodomestico, energia, Tlc ed elettronica c’erano 52.916 addetti all’origine delle crisi che sono diventati 39.345 a oggi. In sostanza sono andati persi 13.571 posti di lavoro e altri 19.364 – cioè il 49% – è a rischio attualmente perché dichiarati esuberi o in ammortizzatori sociali. Dalla Dana alla Bosch passando per Denso, Acciaierie d’Italia, Jsw, Berco e Beko si alternano crisi note e meno note.

Il settore più colpito è quello della siderurgia con 6.308 posti di lavoro persi dall’inizio delle crisi e il 47% degli attuali addetti coinvolti. L’auto ha visto rimpicciolirsi il perimetro occupazionale di 2.127 posti – senza contare le uscite incentivate di Stellantis – e il 59,1% degli addetti attuali è coinvolto. Altri 1.232 posti sono scomparsi nell’elettrodomestico e un operaio su quattro è ancora in bilico.

Numeri di fronte ai quali la Fiom propone una “ricognizione dei fondi inutilizzati come il fondo Transizione 5.0 e interventi mirati”, ha spiegato De Palma. Il sindacato chiede di fermare incentivi “a pioggia” ma di focalizzarli “sui settori più interessati”, anche con un fondo pubblico di investimento che entri in equity, chiedendo “condizionalità” alle aziende che li ricevono, a partite da uno stop ai licenziamenti.

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