Strage di Fidene, ergastolo per Claudio Campiti. Esclusa la responsabilità dei ministeri di Interno e Difesa

L’11 dicembre del 2022 aprì il fuoco contro un gruppo di persone riunite per un’assemblea di condominio a Fidene (Roma) provocando quattro morti. Oggi è stato condannato all’ergastolo Claudio Campiti, l’uomo autore della strage di Fidene quando a cadere sotto i suoi colpi furono quattro donne: Nicoletta Golisano, Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis. Campiti era imputato anche per il tentato omicidio di altre cinque persone sedute al tavolo del consiglio di amministrazione del consorzio e lesioni personali causate dal trauma psicologico subito dai sopravvissuti.
Il verdetto – I giudici della I Corte d’assise della Capitale hanno inflitto all’imputato anche l’isolamento diurno di 3 anni. La camera di consiglio è durata oltre 7 ore. Condannato a tre mesi (pena sospesa) per omessa custodia anche l’allora presidente della Sezione Tiro a Segno Nazionale di Roma dove il killer prese l’arma utilizzata poi per compiere gli omicidi. Assolto, infine, un dipendente addetto al locale dell’armeria del poligono di tiro.
Campiti, quel giorno, aveva sottratto una pistola al poligono di tiro di Tor di Quinto e poi aveva fatto irruzione nel gazebo di un bar nella zona di Colle Salario, dove era in corso una riunione dei soci del Consorzio Valleverde, nel Reatino, con il quale da anni era in lite. Aveva fatto fuoco, lasciando a terra tre donne e ferendo altre tre persone, una delle quali morì successivamente. Con sé aveva il passaporto, lo zaino pieno di vestiti e oltre seimila euro in contanti: secondo gli inquirenti progettava la fuga. I giudici hanno escluso come responsabili civili i ministeri dell’Interno e della Difesa e l’Unione italiana tiro a segno in riferimento alla custodia dell’arma utilizzata dal killer. Riconosciuta invece la responsabilità del Tiro a segno nazionale. I giudici hanno inoltre disposto l’invio degli atti in Procura in riferimento alla posizione dell’allora presidente del Tiro a Segno, sezione di Roma, per valutare l’accusa di omicidio come conseguenza di altro reato.
La polemica – La sentenza è stata accolta con compostezza dai tanti familiari presenti nell’aula bunker di Rebibbia, anche se la decisione sui responsabili civili ha lasciato in molti l’amaro in bocca. “Il fatto che il ministero dell’interno e della Difesa non siano stati riconosciuti come responsabili civili mi lascia sgomento, non era quello che ci aspettavamo. Mi sento tradito dalle istituzioni” dice Silvio Paganini, sopravvissuto alla sparatoria e che tentò di fermare lo stragista.
“Nella sequenza delle azioni le responsabilità durante il processo sembravano palesi. Responsabilità che non ritrovo nella sentenza e questo mi lascia interdetto. Che si arrivasse all’ergastolo per una persona che uccide quattro donne in quella maniera, con quelle prove, non poteva essere diversamente. Quello che cercavo era una corretta identificazione di tutte le responsabilità, soprattutto se queste sono istituzionali” dice Giulio Iachetti, marito di Fabiana De Angelis.
La requisitoria – Nel corso della requisitoria i pm Giovanni Musarò e Alessandro Lia, hanno ricostruito cosa avvenne in quella drammatica domenica di quasi tre anni fa. “Campiti entra in quel gazebo per uccidere, nell’arco di cinque secondi ammazza quattro persone. Entra – hanno affermato i rappresentanti dell’accusa- e senza esitazione esplode il primo colpo, si rende conto di un problema di caricamento e riesce subito a scarrellare e a ricaricare il colpo in canna, tornando così a sparare e a uccidere. È lì che quello che noi definiamo un eroe civile, Silvio Paganini, coglie l’attimo in cui il killer si gira e si butta su di lui”.
Campiti si era “abbigliato da combattente”, aveva ancora “oltre 170 proiettili e avrebbe potuto fare una strage ancora maggiore”. Parlando delle ore precedenti al drammatico delitto, con il killer che esce dal tiro a segno con l’arma, i rappresentanti dell’accusa hanno messo in risalto le falle nel poligono, descritto sostanzialmente come un colabrodo con cui era possibile allontanarsi indisturbati con una arma. “Quanto successo non era imprevedibile, eventi analoghi erano già accaduti senza che fossero prese precauzioni”, hanno detto i pm. E ancora: “c’è un’area di demanio con il più grande tiro a segno nazionale in cui vigeva una specie di far west, con totale assenza di cautele. Come è possibile che Campiti sia uscito dal poligono con la pistola e sia andato via indisturbato, senza passare mai per la linea di tiro?”. Secondo l’impianto accusatorio, in sostanza, l’imputato “non ha approfittato di un momento di distrazione di qualcuno ma di un regolamento interno al poligono che veniva applicato in quel modo da 30 anni”.