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“Non volevo medaglie, ma dare un nome ai morti”: la storia del pescatore che ha salvato 47 migranti nel mare di Lampedusa

Vito Fiorino, il 3 ottobre 2013 è stato testimone e soccorritore di uno dei tragici naufragi di barche con migranti a bordo. A raccontare la sua storia Nicoletta Sala nel libro "Vito e gli altri" (Mimesis edizioni in collaborazione con Fondazione Gariwo)
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“Questo libro parla di migrazioni. Al plurale. Perché anche io, Vito Fiorino, sono stato un migrante, figlio di migranti”. Comincia così “Vito e gli altri”, il libro edito da Mimesis in collaborazione con Fondazione Gariwo e scritto da Nicoletta Sala, che ripercorre la vita – e soprattutto una notte – di Vito Fiorino, protagonista di una delle pagine più drammatiche della storia recente del Mediterraneo: il naufragio del 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa.

Quel giorno, 368 persone morirono in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa. Vito Fiorino, con alcuni amici a bordo della sua imbarcazione Gamar, fu tra i primi a scorgere le sagome nell’acqua e ad avvicinarsi. Ne salvarono 47, uno per uno, portandoli a bordo. Alcuni erano senza vestiti, coperti di gasolio, sotto shock. La Guardia Costiera arrivò solo in seguito. Il resto, come spesso si dice, è storia. Ma una storia che oggi, dimenticata da molti, trova nuova voce nel racconto di Fiorino.

Fiorino non è un operatore umanitario, né un attivista. È un falegname (o meglio, lo era) e un pescatore per passione. Nato a Bari, migrato a Milano, dove ha vissuto in una cantina, ha fatto mille lavori prima di trasferirsi a Lampedusa, aprire una gelateria e godersi la pensione. Ma la notte del 3 ottobre – e tutto ciò che ne è seguito – ha cambiato per sempre il suo sguardo sul mare e sul mondo.

Il libro, narrato in prima persona, non è solo la cronaca di un salvataggio. È il ritratto di una vita qualunque, segnata dalla fatica, dalle scelte e dalle coincidenze. Fiorino ripercorre l’infanzia, l’emigrazione dei genitori dal Sud al Nord, gli anni in fabbrica, la voglia di mettersi in proprio, la scoperta del viaggio come forma di libertà. E poi l’arrivo a Lampedusa, da turista, per caso, che diventa una scelta di vita. È lì che decide di acquistare un vecchio peschereccio abbandonato e rimetterlo in sesto. Lo chiama Gamar, dalle iniziali dei suoi nipoti. Non sa ancora che quella barca, una notte, diventerà un’ancora di salvezza per decine di persone. La forza del libro sta nel raccontare una storia che molti, dopo quel giorno, avevano promesso di non far ripetere. E che invece sembra oggi dimenticata, inghiottita in un ciclo di naufragi che non ci toccano più.

Fiorino, attraverso fatti, nomi, sguardi e mani che si aggrappano, ci costringe a riflettere. E pone una domanda che attraversa tutto il libro: “Cosa avrei fatto io?”. Non dà risposte. Ma offre la sua storia, vissuta, che interroga il presente. Perché “Vito e gli altri“ non è solo un libro sul passato. È un libro che parla all’oggi, a un presente in cui le morti in mare sono diventate la normalità. In cui le promesse fatte dopo il 3 ottobre sono svanite. In cui le migrazioni sono trasformate in una minaccia. In cui il Mediterraneo continua a essere un cimitero a cielo aperto, e le storie dei migranti rischiano di perdersi tra numeri e sigle. In cui l’indifferenza, più ancora delle onde, può diventare fatale.

Oggi Fiorino vive ancora a Lampedusa ed è un Giusto. Non va più in mare, non riesce più nemmeno a fare il bagno. Ma non ha mai smesso di raccontare, tramite incontri nelle scuole, viaggi in Europa e una fondazione creata insieme ai sopravvissuti. “Non volevo medaglie,” scrive. “Volevo dare un nome a chi è morto. Non si può morire come numeri”.

Un libro da leggere oggi, per capire cosa si nasconde dietro un salvataggio in mare. E per scoprire cosa può nascere da un gesto semplice: Restare. Restare accanto a chi ha bisogno. Restare umani.

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