L’ultimo e inutile derby di Claudio Ranieri: cosa lascerà alla sua Roma?

Non c’è stato lo spettacolo, ma non era lecito attenderselo. Non è arrivato nemmeno il risultato: entrambe dovevano per forza vincere, si sono accontentate di non perdere. Rimane solo la statistica: l’ultimo derby di Claudio Ranieri, che lascerà senza averne mai perso uno.
Anche questo è un piccolo capolavoro, per quanto inutile. Quando è arrivato, i giallorossi erano una squadra alla deriva, più vicini e non solo metaforicamente alla retrocessione che all’Europa. Aver recuperato 15 punti di distacco alla Lazio, aver raddrizzato questa stagione che poteva essere indecorosa e invece alla fine è stata nel complesso solo mediocre, l’ennesimo miracolo della sua carriera da aggiustatore. E dunque se questa incredibile e per certi versi romantica cavalcata si concluderà comunque soltanto con l’ennesimo quinto, sesto o settimo posto, come ormai è probabile, cosa lascerà Ranieri alla sua Roma?
Non lascerà (probabilmente) la qualificazione in Champions League, che è l’unico obiettivo che conta nel calcio moderno, a maggior ragione per un club dalla disponibilità economica come la Roma che lo fallisce sistematicamente da sette anni. Ma chiederlo a Ranieri sarebbe stato oggettivamente troppo. Anche se una volta arrivati a questo punto, cioè a un tiro di schioppo dal quarto posto e con gli scontri diretti a disposizione, averli giocati in maniera così remissiva contro la Juventus e soprattutto con la Lazio, come se non perdere fosse una medaglietta più importante della posta in palio, diventa un rimpianto.
Non lascerà nemmeno un’eredità tecnico-tattica, perché semplicemente non esiste. Ranieri – come spesso del resto nella sua carriera da preparatore delle menti più che dei movimenti in campo – non ha creato nulla, ha solo sistemato ciò che non funzionava. Questa squadra non ha un’identità di gioco, non ha nemmeno un modulo. È diventata un gruppo, questo sì, ed è una componente fondamentale del pallone, ma lo spirito non si passa facilmente di mano in mano, a differenza di uno schema o di un’ossatura che una volta consolidati possono sopravvivere. Così come sul piano tecnico non ci sono certezze, il futuro dei vari Dovbyk, Soulè, Svilar è ancora un’incognita mentre l’unica conferma è stata quella di Dybala, il primo di cui la società dovrebbe liberarsi per una rifondazione seria. L’anno prossimo la Roma dovrà ripartire ancora una volta da zero.
Il vero lascito che Ranieri potrà dare alla sua squadra è un nuovo allenatore, compito che in teoria gli è stato demandato (almeno così si dice). Ma anche qui rimangono tanti interrogativi. Nella Capitale tutti sono in trepidante attesa di conoscere il nome del successore, che sembra sempre imminente ma è ancora avvolto nel mistero (Gasperini, Montella, Vieira, oggi l’ipotesi più accreditata sembra essere Stefano Pioli). Così come resta un mistero il processo di casting, la catena decisionale. Chi sta scegliendo il nuovo tecnico: Ranieri, il direttore sportivo Ghisolfi o direttamente i Friedkin? Chi se ne prenderà i meriti se funzionerà e soprattutto le responsabilità quando le cose andranno meno bene? Perché il rischio – facile capirlo – è che venga scaricato alla prima difficoltà, disconoscendone la paternità.
Questo fantomatico incarico di consulente – lo chiamano “senior advisor”, stessa dicitura di Ibrahimovic al Milan: se il paragone è questo, auguri – non si è ben capito in cosa consisterà e in che cosa è consistito. Assomiglia a un vecchio saggio che consiglia ma non decide: la foglia di fico buona per una proprietà incapace, che per tre anni si è nascosta dietro le mascherate di Mourinho e dopo la sua inevitabile cacciata si è ritrovata esposta in piazza. Invece Ranieri era e rimane solo un romanista vero, un grande traghettatore.