Cinema

Sotto le foglie, François Ozon e il potere della menzogna

L'opera del regista francese è paradossalmente un film estremamente vitale ma puntellato di cadaveri, di senso della morte e di perdite familiari

di Davide Turrini
Sotto le foglie, François Ozon e il potere della menzogna

Un altro piatto avvelenato in un film, ma questa volta l’opera è una delizia. Sotto le foglie (Quand vient l’automne) di François Ozon – in sala dal 10 aprile – è un po’ il contraltare del recente successo di Le assaggiatrici. Se nel film di Soldini lo spettatore si ritraeva di fronte al peso roboante del male della storia, banalmente stretto sulla pietanza mortale del Fuhrer; qui nella Borgogna boscosa, finemente stregata, si è come attratti dall’assaggio dell’intima malvagità di un involontario piatto di funghi velenosi.

Questione di naturale talento e rigore, di controllo assoluto dei tempi del racconto e del saper filmare l’essenziale senza troppi fronzoli formali. Al 23esimo lungometraggio Ozon scioglie in un accennato spazio di provincia sia chiazze di chiaroscuri morali alla Simenon che gocce di caustico realismo familiare alla Chabrol.

L’ancora agile pensionata Michelle (Hélène Vincent) vive in una placida magione della campagna borgognona, coltivando l’orto, leggiucchiando sulla poltrona in penombra, abitando vicino alla sua migliore amica Marie-Claude (Josiane Balasko), sua ex collega prostituta in gioventù. Le due mature signore hanno però rapporti difficili e complessi con i propri figli. Così mentre il bullo un po’ scemo, e un po’ sciancato, Vincent (Pierre Lottin), figlio di Marie-Claude, sta uscendo di prigione e prova a rifarsi una vita aprendo un bar tabacchi con il prestito della cara amica di mamma; l’attesa di Michelle per qualche giorno di estate da passare con il nipote Lucas, che vive a Parigi con la madre separata, non va per il verso giusto. Sua figlia Valérie (Ludivine Sagnier), che mai ha approvato e si vergogna con evidente fastidio del passato della madre, mangia un piatto di funghi preparato da Michelle che si rivela tossico e che la fa finire all’ospedale. Un gesto apparentemente involontario, giocato sulla possibile svagatezza dell’anziana Michelle, dà il via all’incrinarsi definitivo di un equilibrio incrociato, tra madri e figli, probabilmente mai nato.

Sotto le foglie è paradossalmente un film estremamente vitale ma puntellato di cadaveri, di senso della morte e di perdite familiari, di azioni che non si osa compiere e menzionare ma che realmente accadono, di una sinistra meschina possibilità di “voler far del bene ma facendo sempre del male”.

Ozon non giudica e non giustifica alcun comportamento dei caratteri in scena, ma semplicemente e magnificamente li espone. Fa passare il testimone tra personaggi senza mai far perdere quota al serrato racconto. Adopera la macchina da presa come un bisturi invisibile per mezzi busti e primi piani, e come un martello silenzioso per i dettagli che marcano l’evolversi e il senso della storia.

Infine infonde, attraverso la preparazione di piatti, dolci, caffè da parte di Michelle, una curiosa insinuante dimensione della fiaba, con ipotetici fantasmi, la natura vagamente misteriosa, le tendine delle finestre di una casa di marzapane che si aprono e si chiudono minuziosamente sulla luce e sulla vita. Sotto le foglie, infine, è un film sul potere della menzogna e sulla vacua dimensione della apparenze che trae la sua potenza espressiva nella spaesante ambiguità delle micro espressioni del viso di Michelle, semplicemente perfetta nell’interpretazione della veterana, e poco conosciuta in Italia, Helene Vincent.

Playlist

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.