Usato in guerra per colpire oppositori e stampa: è l’Alien Enemies Act invocato da Trump per deportare i venezuelani

Chissà cosa avrebbe detto il presidente John Adams. Fu lui a firmare nel 1798 l’Alien Enemies Act che Donald Trump ha utilizzato per deportare almeno 137 cittadini venezuelani verso le carceri di El Salvador. La legge dà al presidente degli Stati Uniti il potere di autorizzare arresti, ricollocazioni e deportazioni di qualsiasi persona di sesso maschile sopra i 14 anni che sia cittadino di un Paese nemico degli Stati Uniti. In un ordine esecutivo del 13 marzo, Trump ha affermato che i venezuelani appartenenti alla gang Tren de Aragua stanno “perpetrando, tentando, minacciando un’invasione o un’incursione predatoria contro il territorio degli Stati Uniti sotto la direzione, clandestina o meno” del governo venezuelano. Di qui, la loro deportazione. La Corte Suprema, in una sentenza a maggioranza – 5 contro 4 – ha dato ragione, ma solo da un punto di vista procedurale, all’amministrazione. Gli avvocati dei venezuelani si sono infatti rivolti a un giudice di Washington D.C. per bloccare le deportazioni. Avrebbero invece dovuto fare ricorso in Texas, dove i venezuelani erano detenuti. I nove giudici, all’unanimità, hanno però affermato che il governo degli Stati Uniti dovrà in futuro avvertire con un congruo anticipo le persone in attesa di deportazione, consentendogli quindi un ricorso in tribunale.
La Corte non si pronuncia per il momento sul diritto di Trump di ricorrere all’Alien Enemies Act per espellere i venezuelani. Il presidente ne ha parlato spesso, in campagna elettorale. Ora mette in atto la sua promessa e vale forse la pena ripercorrere un po’ la storia. John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti, ereditò da George Washington un Paese giovane e turbolento. I due principali partiti, i Federalisti e i Democratico-Repubblicani, si combattevano aspramente e avevano idee diverse su come gestire i rapporti con la Francia, con cui gli Stati Uniti avevano ingaggiato una guerra commerciale in diverse aree del mondo. I Federalisti di Adams volevano combattere. I Democratici-Repubblicani no. Il Paese era scosso da tensioni acutissime, reciproche accuse di corruzione e tradimento, venti di rivoluzione sull’esempio francese. È in questo clima che Adams firmò gli Alien and Sedition Acts, che prendevano di mira oppositori politici, libera stampa, stranieri – francesi e non – che venivano visti come una minaccia per la sicurezza nazionale. Approvate nonostante l’indignata opposizione dei Democratico-Repubblicani, le leggi – soprattutto il Sedition Act che chiudeva la bocca ai giornalisti dissenzienti – hanno segnato la parabola politica e la considerazione storica di John Adams, il presidente che ha messo la sicurezza nazionale, e il suo personale interesse, al di sopra di diritti e libertà civili.
Nel corso dei successivi due secoli, l’Alien Enemies Act è tornato in auge tre volte. Nel 1812, quando il presidente James Madison lo invocò contro i cittadini britannici – gli Stati Uniti erano allora in guerra contro la Gran Bretagna e i suoi alleati. Durante la Prima guerra mondiale, quando Woodrow Wilson lo chiese per i nemici delle Potenze centrali: tedeschi, cittadini dell’impero austro-ungarico, ottomano e bulgaro. Infine nel 1941, dopo l’attacco a Pearl Harbor, che spinse Franklin Delano Roosevelt a emettere ordini esecutivi per arrestare e rimuovere cittadini di origine tedesca, italiana, giapponese – per rastrellare i nippo-americani e chiuderli nei campi di detenzione venne emesso un ulteriore ordine esecutivo.
Ora, a prescindere dal giudizio che si può dare di quegli eventi, un dato è certo. Ogni volta che l’Alien Enemies Act è stato invocato, gli Stati Uniti erano effettivamente in guerra – nel senso che c’erano state dichiarazioni formali, che il conflitto non era politico, commerciale, diplomatico, ma militare e che i soldati americani combattevano e morivano nel mondo. Il presente non c’entra niente con quel passato. Con chi sono in guerra gli Stati Uniti oggi? Dove sono le prove che il governo venezuelano organizzi nell’ombra l’attività sediziosa di Tren de Aragua? E basta designare un gruppo come “organizzazione terrorista” – il Dipartimento di Stato lo ha fatto per la gang venezuelana lo scorso febbraio – per affermare che i suoi membri hanno messo in atto “un’invasione”? Sono le domande che molti negli Stati Uniti si fanno e che fanno a Donald Trump e alla sua amministrazione, senza però, almeno per il momento, ottenere risposta.
Il presidente, dopo la sentenza della Corte Suprema, ha esultato. “Un gran giorno per la giustizia in America”, ha scritto su Truth Social. L’entusiasmo è forse affrettato. L’Alta Corte non si è infatti pronunciata sulla costituzionalità dell’ordine esecutivo, ma soltanto sul fatto che gli avvocati dei venezuelani si sono rivolti al tribunale sbagliato. Quando la verifica di costituzionalità arriverà davanti ai nove giudici, non sarà facile per gli avvocati del governo sostenere che il ricorso all’Alien Enemies Act è giustificato da una reale invasione. Anche perché continuano a emergere errori, incongruenze, evidenti violazioni dei diritti di molti di quelli messi, senza processo, sui voli per El Salvador. Un’inchiesta di CBS ha trovato che il 75% dei 238 deportati non avevano alcun precedente penale. Tra questi c’è un make up artist venezuelano, Andry Hernandez Romero, 31 anni, gay, arrivato negli Stati Uniti a piedi per chiedere asilo. Romero è stato arrestato e deportato. Motivazione ufficiale: ha due corone tatuate sui polsi. La corona è tatuaggio diffuso a Capacho, villaggio nell’ovest del Venezuela da dove Romero viene e dove si celebra il festival dei Tre Re. Peraltro, molti esperti fanno notare che i membri di Tren de Aragua non usano tatuaggi come segno di affiliazione. Philip Holsinger, il fotoreporter che ha testimoniato l’arrivo dei deportati nella prigione di massima sicurezza di Tecoluca, ha detto di aver visto Romero in carcere. Pregava, piangeva mentre le guardie lo spogliavano e gli radevano il capo. Urlava: “Sono gay. Sono innocente”.