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Non potrà avere i nomi della petizione contro l’acciaieria: il gruppo Danieli perde in Consiglio di Stato

Il consigliere regionale Honsell, tra i promotori dell'iniziativa che aveva raccolto oltre 22mila sottoscrizioni: "Alla fine il ‘diritto al dissenso’ e la sua tutela hanno trionfato”
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Il gruppo Danieli, colosso friulano dell’acciaieria, ha perso in Consiglio di Stato la causa contro i quasi 22mila cittadini che avevano firmato una petizione popolare per impedire la costruzione di un impianto da oltre un miliardo di euro a Marano Lagunare, in riva all’Adriatico. Non ha diritto di conoscere tutti i nomi dei firmatari e non potrà avere gli elenchi degli aderenti, per verificare la regolarità dell’iniziativa che aveva indotto la Regione Friuli Venezia Giulia a fare marcia indietro rispetto alla realizzazione del progetto. I comitati si erano opposti, anche perché temevano ritorsioni o cause da parte del gruppo di Udine.

L’annuncio della sentenza, che rovescia una precedente decisione del Tribunale Amministrativo regionale, è stato dato dal consigliere regionale di Open Sinistra, Furio Honsell, promotore insieme a Marino Visintin e Paolo De Toni dell’appello per tutelare la riservatezza dei nominativi. “Il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza del Tar del Friuli che aveva consentito alla Danieli di disporre delle generalità dei 21.974 firmatari della petizione ‘No Acciaieria’. Alla fine il ‘diritto al dissenso’ e la sua tutela hanno trionfato. Riteniamo questa vittoria molto importante perché tutela il diritto ad esprimere il proprio dissenso a scelte di politica industriale, senza dover subire minacce di ritorsione o rivalsa da parte dei potenti contro-interessati”. Ha poi aggiunto: “È una vittoria per chi ritiene una priorità la qualità dell’ambiente. È una vittoria per chi, mosso da slancio civile, potrà finalmente dormire sonni tranquilli. Viene così ristabilita la correttezza della valutazione originariamente fatta dal segretario generale del Consiglio Regionale, Stefano Patriarca, che aveva opposto il primo diniego alla pubblicità dei nomi”.

La petizione aveva costituito il momento culminante di un movimento popolare, a cui avevano partecipato anche i sindaci della zona, preoccupati perché la costruzione di uno stabilimento così imponente avrebbe alterato il sistema ambientale, con ripercussioni sulla vita delle comunità e sul turismo. Il gruppo Danieli aveva negato di voler avviare azioni nei confronti dei firmatari, sostenendo che l’intenzione era quella di spiegare agli azionisti la situazione che si era creata con quella massiccia adesione di protesta.

Dopo la sentenza del Tar che aveva dato ragione a Danieli, la giunta regionale friulana non aveva presentato ricorso. “Esprimiamo disapprovazione per il comportamento della giunta Fedriga che non ha avuto il coraggio di difendere il diritto di opinione di oltre 22mila propri cittadini abbandonandoli a potenziali gravi rivalse, qualora fossero stati rivelati i loro nomi”.

Sulla stessa linea Rosaria Capozzi, consigliera regionale del Movimento 5 Stelle: “Siamo soddisfatti del risultato, perché la sentenza del Tar ci aveva lasciati esterrefatti. Hanno vinto i cittadini a cui rimane il sacrosanto diritto di manifestare le proprie opinioni senza condizionamenti. Da questa vicenda esce sconfitta, invece, la nostra Regione, che incomprensibilmente non si è rivolta al Consiglio di Stato per difendere i diritti dei propri cittadini”. In autunno i Cinquestelle avevano presentato un’interrogazione a Fedriga per conoscere le ragioni del mancato avvio dell’azione legale. “Non abbiamo ancora avuto una risposta”.

L’errore della sentenza del Tar è consistito, secondo i giudici d’appello, innanzitutto nell’aver “affermato, in modo assoluto ed indiscriminato, la pubblicità dei dati personali dei sottoscrittori di una petizione pubblica”. Non basta firmare una petizione per consentire alla diffusione dei dati dei sottoscrittori. Ad esempio il Parlamento europeo prevede che “il firmatario o sostenitore di una petizione può chiedere che il suo nome non sia reso noto, al fine di tutelare la sua vita privata”. In Italia non c’è questa regola, eppure non si può sostenere che “il diritto alla riservatezza possa essere ritenuto, in modo automatico, generale ed assoluto, subvalente rispetto agli altri valori, sottesi all’accesso civico o documentale, sia pure difensivo”. Inoltre, i dati personali di una petizione sono “connessi ad opinioni politiche, da intendersi in senso lato e riconducibili non solo all’adesione ad un tradizionale partito politico, ma anche ai movimenti che caratterizzano l’epoca attuale, quale quello ambientalista, o quelli che si formano relativamente a specifiche questioni trattate dalle pubbliche autorità”. La firma implica il consenso alla trasmissione dei propri dati personali all’autorità pubblica che ne è destinataria, ma non il consenso al trattamento dei propri dati personali per l’esternazione pubblica di una adesione, trattandosi di dati sensibili proprio in relazione alla natura politica della petizione.

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