Che palle ‘sti dazi americani! Aumentano i prezzi per tutti ma la Cina vince comunque

di Carblogger
Che palle ‘sti dazi americani, tanto più che come scrive il Financial Times in un de profundis per il piano del presidente americano, “il problema è che al momento nessuno sa cosa farà Trump la settimana prossima, figurarsi nei prossimi anni“. Dazi e ridazi, ogni giorno sto al pallottoliere degli analisti per capire quanto costerà ai costruttori l’impatto con i profitti operativi del 2025. Trump dice letteralmente che se ne frega (“couldn’t care less”) se i prezzi delle auto aumentano, perché così gli americani compreranno più auto americane. La verità è che i costruttori o riducono il loro guadagno (quando c’è, e sulle elettriche uhmm), oppure aumentano i prezzi e perdono i clienti.
Regola dei dazi che vale per tutti, americani compresi. Il pallottoliere di Bernstein, per dire, stima un declino del 30% di Ebit per Gm e Ford, a fronte di un impatto complessivo per il settore da 110 miliardi di dollari, 6.700 dollari per veicolo. E nel 2026 potrebbe andare ancora peggio, perché non è che un’industria come l’auto, per evitare i dazi, trasferisce la produzione in America tirando su fabbriche in un giorno. Basta guardare a cosa è successo per la scarsità di microchip nel post Covid e alla velocità di riallineamento, per farsi venire brividi freddi.
I dazi di Trump non faranno male soltanto ai costruttori cinesi. Vendono quasi niente sul mercato statunitense, dopo il primo 25% di tasse imposto dall’amministrazione Trump nel 2018, il 100% sulle loro elettriche e le crescenti restrizioni all’import di componentistica e tecnologica made in China decise dall’amministrazione Biden. Colossi come Byd e Saic dovrebbero rinunciare anche all’idea di aprire fabbriche in Messico (dove per altro detengono circa il 5% del mercato se non ricordo male), in futuro si vedrà. Bye bye Trump, “couldn’t care less” non so come si dice in mandarino ma il concetto è chiaro.
Con l’aiuto di ‘sti dazi, i costruttori europei saranno non solo più deboli, ma più esposti alla concorrenza dei cinesi. I quali, avendo più soldi da investire altrove e pressati dalla sovraproduzione interna, spingeranno prevedibilmente sull’export in Europa. E, appena si capirà meglio se il protezionismo di Bruxelles è vero o farlocco (dipenderà dalla geopolitica, fluida come tutto il resto), magari riprenderanno ad aprire fabbriche a casa nostra. Come Byd in Ungheria e Chery in Spagna, o in Turchia se il regime di Erdogan sopravvive alla piazza, o la terza via alla Leapmotor in Polonia e prossimamente forse anche in Spagna per interposta Stellantis. Tutto giusto in nome del mercato, tranne l’aiutino di Trump (contro i “parassiti”).
Dazideché, l’altro giorno Xi Jijnping ha invitato i ceo delle più grandi multinazionali straniere (auto comprese, come Bmw e Mercedes) a dirottare capitali nel suo paese. Spacciandosi per autentico liberista. Al peggio non c’è mai fine.
@carblogger_it
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