In precedenza era stato condannato con rito abbreviato a 10 anni e 8 mesi ma la Cassazione aveva chiesto di ricalcolare la pena escludendo le attenuanti generiche che erano state concesse in sede di appello. La Corte di Appello di Torino ha condannato a 16 anni di carcere Victor Ulinici, uno dei cinque giovani imputati per il caso del lancio di una bici elettrica sul lungo fiume dei Murazzi che ferì in maniera gravissima, il 21 gennaio del 1923, lo studente palermitano Mauro Glorioso. Il giovane, che al momento dei fatti aveva 21 anni, da allora è paralizzato dal collo in giù. A carico di Ulinici l’accusa venerdì scorso aveva chiesto 16 anni mentre il difensore del giovane aveva chiesto la conferma la conferma della precedente condanna. Un’altra ragazza maggiorenne aveva scelto il rito ordinario e il suo processo si è concluso a gennaio con una condanna a 16 anni: era rimasta a guardare quanto stava accadendo, senza fare nulla. Per i tre minorenni che facevano parte del gruppo sono state confermate, lo scorso marzo, le sentenze di primo grado, in abbreviato, con pene comprese tra i 9 anni e 9 mesi e 6 anni e 8 mesi.
In occasione della richiesta di condanna da parte della Procura, l’avvocato difensore di Ulnici, Wilmer Perga, aveva dichiarato che “la gravità del reato non va riferita alla gravità della conseguenza del danno causato, che è enorme, ma a quello che volevano fare, lanciare una bicicletta. Ulnici aveva poi aggiunto che proprio “l’immaturità del mio assistito” che viene portata dall’accusa come fatto grave, ad esempio il fatto di essere scappati ridendo, mostra la non comprensione della gravità del loro gesto e questo andrebbe posto tra le attenuanti, e non tra le aggravanti. “Il mio assistito è molto dispiaciuto, come ha già detto in aula. E non va interpretato alla lettera con la Treccani in mano, è davvero dispiaciuto, va compreso il contesto in cui è cresciuto e cosa significhi per lui dire questo”. Al Corriere Torino, il padre di Mauro Glorioso, Giuseppe, aveva detto riferendosi al gruppo di ragazzi responsabili della paralisi del figlio: “Dal 21 gennaio al giorno dell’arresto non hanno dedicato una sola parola a mio figlio. Non una frase su di lui o sulle condizioni tra la vita e la morte in cui si è trovato per mesi. Dalle loro chat trapelava solo la speranza che gli andasse “di fortuna”. Speravano soltanto che non li individuassero”.