di Sara Gandini e Paolo Bartolini
Dopo l’insediamento di Trump e l’improvvisa giravolta della Cia, si torna a parlare della fuoriuscita di Sars-Cov-2 da un laboratorio di Wuhan. Onestamente crediamo che la ricerca della verità storica non debba fermarsi alle ipotesi sull’origine dell’agente patogeno, ma richieda anche – e soprattutto – un bilancio complessivo della gestione della pandemia negli anni 2020/2022. È maturo il tempo per uscire dalle polarizzazioni promosse dai mass media e dai social, che semplificano e creano schieramenti poco utili alla politica, riconoscendo finalmente una questione decisiva: il trauma Covid ha riguardato in maniera trasversale molte fasce della popolazione e affonda le sue radici in una situazione strutturale di lunga data. La grande massa dei soggetti traumatizzati dal “caos pandemico” rompe le partizioni comode dell’ideologia e ci costringe a ragionare individuando le coordinate strutturali di un evento epocale che ha impresso un salto quantico alle criticità già presenti.
Se pensiamo al danno subìto ci accorgiamo che sono state vittime, a titolo diverso, gli anziani deceduti e abbandonati nelle Rsa, il personale sanitario sotto pressione impossibilitato a lavorare in condizioni decenti, coloro che hanno atteso vanamente delle cure adeguate a casa o un posto in terapia intensiva, tutti gli esseri umani che – nel Sud del mondo – avrebbero avuto diritto ai vaccini ma non potevano usufruirne perché i brevetti sono nelle mani delle multinazionali del farmaco, i cittadini costretti dal dispositivo del green pass a rinunciare a diritti costituzionali inalienabili, scienziati e personalità della medicina (e non solo) presi di mira dai quotidiani per il loro dissenso argomentato nei confronti delle restrizioni governative e, ancor più, dell’obbligo vaccinale e del lasciapassare verde imposto senza nessuna ragione scientifica.
Oltre a queste persone – che come si vede non sono più separate e contrapposte a partire dalla loro scelta rispetto al vaccino, ma riunite e assimilate per ciò che hanno perduto (alcuni la vita, altri la libertà di movimento, di scelta, di espressione…) – non dobbiamo dimenticarci dei tanti giovani che non correvano rischi per la Covid-19 ma sono stati sacrificati davanti ai dispositivi elettronici, allontanati troppo a lungo dal contatto fisico con i pari e dalla scuola, dunque da un’esistenza pienamente umana, con ricadute sulla salute mentale durevoli e allarmanti. Il bilancio che possiamo trarre, se esaminiamo con equilibrio quanto accaduto, senza ipocrite equidistanze, si traduce in una narrazione ben diversa da quella del mainstream: le autorità sono state prese in contropiede, ma la sanità era in crisi da tempo, gli ospedali al nord erano al collasso anche con le semplici influenze invernali. La comunicazione pubblica ha toccato punte di confusione e schizofrenia surreali. Agli scienziati è stato chiesto di ostentare sicurezze in un momento nel quale nessuno poteva averle.
Il dibattito democratico è stato sospeso, intensificando il processo di centralizzazione necessario a blindare la società. Nel mentre lo stillicidio di decreti ministeriali, la paura usata come strumento di domesticazione dell’opinione pubblica, la svalutazione del dialogo critico e, infine, l’investimento a occhi chiusi nella soluzione totale del vaccino hi-tech (rivelatosi indubbiamente utile per anziani e soggetti fragili, e poco indicato per bambini, giovani e persone in piena salute – soprattutto quando indisponibili a iniettarselo) hanno fatto sì che i nodi critici della sanità pubblica, della medicina territoriale, del rispetto dei diritti costituzionali, venissero sottovalutati.
Le distrazioni colpevoli delle sinistre, troppo impegnate a inseguire il mito del rischio zero e la “protezione totale” della popolazione – forse per compensare il trentennale disinvestimento in sanità e scuola, e l’incapacità cronica di tutelare i diritti dei lavoratori e delle classi subalterne – hanno impedito di prendere consapevolezza del fatto che il pilota automatico del capitalismo contemporaneo non permette di tenere insieme salute e democrazia, potenziamento dei servizi pubblici e strategie articolate di fronteggiamento dei problemi. La nostra speranza è che le diverse aree del pensiero critico, invece di frammentarsi e contrapporsi tra loro, possano finalmente orientarsi verso una difesa consapevole della sanità pubblica e una resistenza coerente alle derive autoritarie delle nostre post-democrazie.