Da quando le missioni dell’uomo nello spazio sono diventate più frequenti, il rischio che un astronauta possa perdere la vita lassù è aumentato. Le cause possono essere molteplici: dal malfunzionamento dei veicoli a incendi, da problemi di accesso ad acqua e cibo a contaminazioni, e così via. Si stima che ad oggi siano morte 18 persone nello spazio, tra cui 14 astronauti della Nasa. Questi decessi hanno causato la morte dell’intero equipaggio, il che significa che non è mai stata necessaria alcuna “missione di salvataggio” e neanche di risolvere il problema del recupero di corpi. Tuttavia, con l’aumentare delle missioni, alcune anche più complesse e avventurose del passato, come ad esempio quelle su Marte, la Nasa ha deciso di prepararsi a questa eventualità e, di conseguenza, di predisporre un piano.

Se durante una missione si verificasse una singola morte, l’agenzia spaziale americana ha pianificato esattamente cosa accadrebbe. In un report sulla mortalità, durante i voli spaziali umani, pubblicato lo scorso anno, la Nasa ha sottolineato la necessità di predisporre “piani completi” per proteggere l’equipaggio e gli obiettivi della missione, per determinare la causa della morte e per gestire i resti con “dignità, onore e rispetto”. “Una delle preoccupazioni più immediate e principali sarebbe quella di garantire la sicurezza dei membri rimanenti dell’equipaggio – si legge nel rapporto -. La salute dell’equipaggio sopravvissuto deve essere mantenuta all’interno dell’ambiente abitabile poiché dopo la morte, il corpo inizia a decomporsi e diventa un rischio biologico. Nell’atmosfera chiusa di un veicolo spaziale – continua – i sottoprodotti naturali della decomposizione e/o i potenziali patogeni rilasciati durante il processo di decomposizione potrebbero contaminare l’ambiente chiuso del veicolo”.

Il documento raccomanda pertanto che tutti i membri dell’equipaggio ricevano una formazione “adeguata” sulla gestione dei resti ed elenca una serie di considerazioni sulla conservazione di resti umani per lunghi periodi di tempo. “In seguito a un evento mortale, ci sono anche limitazioni basate sul tempo, su quando determinate procedure di gestione possono essere eseguite a causa dei processi naturali che si verificano con i resti – aggiunge il rapporto -. Inoltre, le condizioni ambientali nelle missioni spaziali sono diverse da quelle sulla Terra per quanto riguarda temperatura, umidità, ossigeno e livelli di pressione, tutti fattori che svolgono un ruolo nella decomposizione dei resti”, aggiunge.

Se ad esempio un singolo membro dell’equipaggio della Nasa muore sull’ISS, e qualora le circostanze non consentano un’evacuazione di emergenza da parte dei sopravvissuti, gli obiettivi procedurali includono la raccolta di dati forensi, la gestione dei resti per garantire il contenimento e per prevenire la contaminazione dell’ambiente abitato dai sopravvissuti e, fornendo un isolamento efficace, garantendo il tempo per la determinazione delle migliori opzioni per la disposizione dei resti. “La ISS ha una capacità di refrigerazione e congelamento di piccoli volumi con intervalli di temperatura di stoccaggio da -160 °C a +4 °C”, si legge nel documento della Nasa. “Il volume disponibile è eccezionalmente limitato e l’utilizzo di questo spazio richiederebbe il sacrificio di altri carichi utili o articoli che richiedono refrigerazione. La refrigerazione di grandi volumi in grado di preservare un corpo umano – continua – non è disponibile a bordo degli attuali veicoli di lancio o sulla ISS”. In caso di morte di un equipaggio sulla ISS, le opzioni sarebbero limitate al ritorno dei resti, all’espulsione su una traiettoria di smaltimento o al rientro distruttivo. È evidente che la questione non è ancora ben definita, ma l’attenzione sul tema è diventata negli ultimi anni cruciale anche in vista di un aumento del turismo spaziale.

(Foto generata con IA)

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