Le Generali avviano l’esame dell’alleanza nel risparmio gestito con Natixis, da cui potrebbe nascere un polo da quasi 2.000 miliardi di euro di masse in gestione, secondo in Europa solo ai francesi di Amundi e tra i primi dieci a livello globale. L’operazione è apertamente avversata dall’immobiliarista romano Francesco Gaetano Caltagirone, che ha il 6,9% del gruppo e si muove in accordo con la Delfin degli eredi Del Vecchio (azionista con il 9,9%). Oggi si riunisce il cda del Leone di Trieste, dopo che domenica il dossier è stato analizzato dal comitato per gli investimenti al quale sono stati ammessi ad assistere, date le “preoccupazioni” trapelate dai grandi soci Delfin e Caltagirone, tutti i consiglieri. Dai sei componenti è arrivata una valutazione positiva ma non all’unanimità : contrario il banchiere d’affari Stefano Marsaglia, proveniente dalla lista presentata dal gruppo Caltagirone. A istruire il dossier in cda saranno i sei componenti del comitato: la presidente Antonella Mei-Pochtler, l’ex ceo della Borsa di Londra Clara Furse, lo stesso Marsaglia, la manager Alessia Falsarone, il presidente di De Agostini Lorenzo Pelliccioli, e il dirigente di Mediobanca Clemente Rebecchini.

Nella nuova società sono destinati a confluire gli oltre 1.200 miliardi di masse in gestione di Natixis Investment Managers e i 650 miliardi di Generali Investments Holding (Gih), integrati da una parte della raccolta netta che il Leone sviluppa annualmente. La governance sarà paritetica, con quote del 50% in capo a Natixis e Gih (83,25% Generali e 16,75% Cathay) mentre per cinque anni la guida sarà affidata a Woody Bradford, numero uno di Gih dall’acquisizione nel 2024 di Conning, con un mandato rinnovabile per un altro quinquennio al raggiungimento di determinati target industriali.

L’intesa, non vincolante, richiederà alcuni mesi di lavoro per riunire sotto un unico ombrello le 16 società di gestione di Natixis e le 14 delle Generali e diventare definitiva. La logica industriale, per il management, sta nelle economie di scala che sarebbe in grado di generare: costi ridotti, sinergie, miglioramento dei rendimenti e delle opportunità di investimento per i clienti, oltre ad una maggiore capacità di attrarre masse da altri investitori. Generali e Natixis manterrebbero il controllo sui premi e il risparmio conferito, definendo le strategie e le politiche di investimento sulla base di mandati circoscritti.

Sull’operazione aleggiano i dubbi di Delfin e Caltagirone. Tra tutti il rischio che la compagnia possa perdere la presa su decine e decine di miliardi di euro di risparmio italiano, dirottato lontano dal nostro Paese, dalla sua economia e dal suo debito pubblico. Un timore la cui sostanza verrà vagliata dal governo una volta che l’operazione sarà notificata al comitato per il golden power come “caldeggiato” a tambur battente – e senza segnalare il conflitto di interesse – dai giornali di Caltagirone. A ciò si aggiungono le perplessità sulla effettiva pariteticità della governance, sull’assenza di patti parasociali che offrano vie d’uscita, sulla competenza dell’assemblea in merito a un’operazione di cui si può discutere la natura quasi ‘trasformativa’.

Resta da capire se il management di Generali sarà stato in grado rassicurare i soci o se invece le distanze potrebbero erompere in uno scontro legale. In questo contesto la possibilità di una lista del cda condivisa dai soci appare tramontata, complici, secondo alcuni pareri legali di Generali, le incertezze interpretative della nuova legge sui Capitali che potrebbero esporre al rischio di impugnativa le delibere assembleari.

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Generali non arretra e vara l’accordo coi francesi per unirsi nella gestione di 1800 miliardi di euro di risparmi

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