Liberare gli ostaggi ad ogni costo. Ogni volta che sono scesi in piazza per sensibilizzare, con scarsi risultati, il governo di Benjamin Netanyahu sull’importanza di riportare a casa le persone rapite il 7 ottobre 2023 dai militanti di Hamas, i loro familiari hanno sempre ripetuto questo mantra. Un governo deve avere a cuore prima la sorte dei propri cittadini che la vendetta. Così, con l’accordo sul cessate il fuoco a Gaza in dirittura d’arrivo ormai da giorni, i parenti sono tornati ad alzare la voce, soprattutto per paura che qualcosa possa andare storto proprio nelle ultime battute: “Né Hamas né Ben Gvir, ma Benjamin Netanyahu, sarà responsabile di qualsiasi ulteriore ostacolo al ritorno degli ostaggi”.

Il timore nasce dalle ultime dichiarazioni del premier che, con l’intesa a un passo, ha frenato gli entusiasmi: “Hamas ritratta le promesse fatte”, ha detto. Così i rappresentanti del Forum Haim che raccoglie le famiglie degli ostaggi, hanno rivissuto il timore di un nuovo fallimento che allontanerebbe la liberazione dei propri cari. Netanyahu incolpa Hamas, ma pressioni gli arrivano anche dagli alleati di governo più estremisti, i ministri Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, che da settimane chiedono che la guerra vada avanti senza pietà, pur precisando, proprio mercoledì, che un’intesa non porterebbe a una sfiducia del premier, come invece minacciato negli scorsi mesi. Da segnalare, però, che nella notte tra mercoledì e giovedì c’è stata una “crisi con il ministro sionista religioso Bezalel Smotrich che ha reso più complicati gli sforzi di Netanyahu di garantire l’integrità del governo dopo l’approvazione dell’accordo”, come dicono fonti molto vicine al dossier alla tv pubblica Kan. Secondo la fonte, “Smotrich rappresenta una vera minaccia per la sopravvivenza del governo“. Proprio il partito del ministro colono ha poi chiarito che approverà l’accordo e rimarrà al governo solo se il premier promette di riprendere i combattimenti per distruggere Hamas dopo la prima fase dell’intesa sugli ostaggi, ossia dopo 42 giorni. Il ministro delle Finanze vuole ricevere l’impegno del primo ministro per iscritto, riferisce Ynet.

I bombardamenti israeliani, nel frattempo, vanno avanti, con almeno 80 morti nelle ultime 24 ore. Ma Hamas fa sapere che uno dei luoghi presi di mira era quello dove veniva tenuto uno degli ostaggi parte dell’accordo ancora in fase di definizione. “Dopo aver annunciato l’accordo, l’esercito nemico ha preso di mira un luogo in cui si trovava una delle prigioniere della prima fase dell’accordo previsto – ha precisato Abu Obeida, portavoce delle Brigate Ezzedin al-Qassam – Qualsiasi aggressione e bombardamento in questa fase potrebbe trasformare la libertà di un prigioniero in tragedia”.

Intanto, in vista del ritorno degli ultimi ostaggi rimasti in mano a Hamas, gli ospedali israeliani si stanno preparando ad accoglierli seguendo un protocollo diffuso dal Ministero della Salute di Tel Aviv. Questo comprende aspetti medici, test necessari (compresi test di gravidanza e per individuare malattie sessualmente trasmissibili), trattamenti psicologici e documentazione delle atrocità passate. Nel documento distribuito dal capo della divisione medica Hagar Mizrahi agli amministratori degli ospedali si stabilisce, tra le altre cose, che “il trattamento dei rimpatriati sarà amministrato in un complesso separato dal resto dei pazienti in ospedale”. Mizrahi ha spiegato che è possibile che alcuni dei rapiti abbiano bisogno di ricovero psichiatrico. Sei ospedali sono preparati per l’accoglienza, quattro dei quali nel centro: Ichilov, Beilinson, Tel Hashomer e Shamir-Assaf Harofeh Hospital.

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