Altro che social: così funziona la verità scientifica, dalle ipotesi alla loro validazione

Rispondere alle perplessità e obiezioni che gli oltre 200 commenti al mio post sul bilancio pandemico del Covid hanno sollevato sarebbe troppo complicato e oneroso, quindi me ne scuso anticipatamente e mi limito ad esprimermi sulla questione che mi è parsa più rilevante e che si è posta anche in occasione di altri miei scritti. Mi riferisco alla credibilità della cosiddetta “verità scientifica” sostenuta dalle istituzioni internazionali.
Diciamo subito che non sarebbe ragionevole esigere una verità scientifica estranea ai condizionamenti socio-economici che inevitabilmente raggiungono tutti gli ambiti del pensiero e dell’azione umana. La contaminazione è quindi una connotazione intrinseca al percorso stesso che conduce a questa verità. L’unica possibilità è quindi quella di introdurre alcune pratiche di garanzia, a sostegno del metodo scientifico fondato sulla verificabilità della validazione di un’ipotesi, introdotte dalle riviste scientifiche cosiddette peer-review, in cui cioè il rigore metodologico di un articolo proposto dagli autori viene vagliato da propri “pari” scelti dalla direzione scientifica della rivista, secondo competenza e autorevolezza curriculare, per ciascuna disciplina implicata nell’articolo sottoposto a tale revisione.
I revisori, che non devono conoscere i nomi degli autori e viceversa e che devono esplicitare entrambi propri eventuali conflitti d’interesse (sostegni diretti o indiretti al proprio campo di ricerca), possono muovere osservazioni, obiezioni e richieste di chiarimento. Si avvia così una stringente discussione formalizzata tra i due gruppi che alla fine (spesso dopo mesi) può portare alla pubblicazione dell’articolo tal quale o modificato, oppure al suo motivato rifiuto. Sono questi articoli soltanto “i mattoni” con cui si costruisce una verità scientifica. I diversi articoli pubblicati da queste riviste vengono generalmente sottoposti a revisione sistematica per area tematica, soggetta anch’essa a precisi criteri procedurali, da parte di altri autori che ne mettono a confronto punti di forza e limiti oggettivi di varia natura, quali ad esempio la selezione e la numerosità dei casi che sostengono una certa conclusione. Queste revisioni sistematiche fanno emergere le valutazioni più robuste in merito alla spiegazione di un determinato fenomeno di diversa natura.
Istituzioni scientifiche pubbliche, come ad esempio l’Oms, affidano poi a gruppi di lavoro multidisciplinari, scelti per competenza curriculare e assenza presunta di conflitto d’interessi, la valutazione di un nesso di causa-effetto, quale ad esempio la cancerogenicità di una sostanza, oppure l’efficacia di un farmaco, di un vaccino, nonché i suoi effetti collaterali. Il gruppo di lavoro riesamina tutti gli articoli e tutte le revisioni di letteratura, nonché le formali citazioni in ambito scientifico che sono state fatte dei diversi studi che concorrono quindi indirettamente al loro accreditamento all’interno della stessa comunità scientifica, e si pronuncia motivatamente nel merito del quesito sottoposto.
Questa è la “verità scientifica” che non ha valore assoluto, perché rappresenta, parafrasando il filosofo della scienza Karl Popper, il punto di vista provvisorio della maggior parte dei ricercatori – che in quanto tale può essere modificato o addirittura ribaltato, come ad esempio è accaduto per quanto concerne l’associazione causale tra attività antropica e alterazioni del clima, su cui, a differenza del passato, la stragrande maggioranza degli studiosi oggi concorda.
Paradossalmente quindi se una verità scientifica pretendesse l’immutabile certezza assoluta si negherebbe come tale, ponendosi all’opposto come “fede”, cioè come salto della ragione.
E’ questo un percorso totalmente tranquillizzante? Certamente no, tant’è vero che all’interno della stessa Oms sono stati identificati a posteriori pesanti conflitti d’interesse anche da parte di coordinatori di alcuni gruppi di lavoro che li avevano occultati. Ancora, ad esempio, il giudizio di cancerogenicità del fumo di tabacco e dell’amianto è stato ritardato di decenni a causa di studi sostenuti più o meno occultamente dalle lobby dei produttori che amplificavano artatamente la legittimità del dubbio.
Anche la gerarchia dei decisori scientifici in seno a queste organizzazioni non è immune dalla pressione di importanti gruppi d’interesse, benché le maglie del controllo siano diventate certamente più strette. Si pensi a quali tentativi di arrembaggio possano essere stati sottoposti i gruppi di lavoro Oms che hanno decretato, con il massimo grado di evidenza, l’assenza di una soglia di sicurezza per l’azione cancerogena (benché dose dipendente) di alcol e carne rossa conservata, sulle quali si è scatenata la polemica politica per il made in Italy.
Vaccinazione e trattamenti terapeutici del Covid, inevitabilmente limitati come per tutte le infezioni virali, possono certamente aver trovato nell’emergenza qualche by-pass valutativo, ma il bilancio di efficacia effettuato a posteriori dalla Oms è da ritenersi credibile, salvo prova contraria e non semplice opinione. E’ la fonte che ho citato nel mio post i cui riferimenti analitici, che non ho richiamato per ragioni di spazio, possono facilmente essere reperibili nel sito della stessa Oms.
Francamente non credo che le verità alternative riportate dai social, per i quali non è prevista alcuna validazione, possano essere concorrenziali con quelle di una comunità scientifica dialogante in costante aggiornamento che segue un percorso certamente vulnerabile, ma soggetto comunque a griglie di competente verifica plurale. Il rischio di accedere alla dimensione della post-verità, ormai deliberatamente priva di filtri come proprio in questi giorni hanno deciso autonomamente i monopolisti delle piattaforme che la sostengono, non si prospetta proprio come una emancipazione dal potere politico-economico-finanziario, bensì come un ben più grave acritico asservimento al medesimo.