di Dante Nicola Faraoni

Nel mondo siamo diventati otto miliardi di persone e 70 miliardi gli animali di allevamento che usiamo per alimentarci. Considerando che gli “occidentali” consumano il doppio di carne del resto del mondo, bisogna fare due conti sugli impatti climatici e sull’ambiente che queste nostre abitudini creano e creeranno in futuro. La produzione di carne, latte e uova comporta l’utilizzo dell’83% dei terreni agricoli e di un terzo dell’acqua destinata all’agricoltura. La carne prodotta prevalentemente attraverso allevamenti intensivi è responsabile del 14% dei gas serra emessi dal pianeta. Il disboscamento per creare nuovi pascoli, il gas metano prodotto dalle deiezioni di questi animali contribuiscono per più del 30% all’aumento della produzione di CO2. Nulla di inventato, tutti dati facilmente verificabili da più fonti e si potrebbe andare avanti.

Le leggi europee e italiane che regolano i principi sulla protezione degli animali negli allevamenti sono diventate inadeguate anche per ammissione degli stessi enti legislatori. Le condizioni degli animali ammassati per produrre soprattutto carne rimangono una violenza, un pugno allo stomaco che colpisce la nostra sensibilità. Queste violazioni sono denunciate non solo da associazioni animaliste, ma vengono recepite come dati certi da organismi come l’Ipcc, l’organismo delle Nazioni Unite per la valutazione dei cambiamenti climatici, e da 286 organizzazioni che chiedono alla Presidente della Commissione Europea di rispettare la tempistica per l’attuazione della legge sul “sistema alimentare sostenibile”. Tutti sono concordi che un cambiamento delle abitudini alimentari attraverso il mangiare meno carne sia necessario e indispensabile per il futuro del pianeta, esseri umani inclusi.

Mangiare tutti meno carne è certamente un processo di presa di coscienza collettiva, una “Rivoluzione delle abitudini” che va fatta. La scienza dei numeri e dei dati e l’emergenza climatica ce lo impongono. Sta di fatto che a oggi questo tipo di sensibilità la possiamo misurare in pochi secondi o al massimo fino a quando arriviamo a tavola, visto che quasi il 90% degli italiani mangia carne. Al contrario è da dedurre che questo sussulto di coscienza esiste per molte persone, visto che il 44,7% degli italiani vive con un cane, il 35,4 con un gatto e il 5,1 con un pesce (dati Eurispes 2021). I più sensibili e più attenti a questo tema sono soprattutto i giovani, i quali hanno più ragioni, interessi e aspettative per il futuro.

Chi invece rema contro sono le lobby multinazionali dell’industria della carne, pronti a bombardarci di spot pubblicitari “succulenti” per annullare i nostri processi cognitivi; pronti a fare “pressione” sul mondo politico o sanitario. Intanto in questi giorni il governo italiano, rappresentato a Bruxelles dal ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, ha votato contro un accordo sulla Direttiva emissioni industriali che regola le emissioni inquinanti perché per la prima volta sono stati inclusi anche gli allevamenti intensivi, difendendo di fatto gli interessi delle grandi aziende della carne.

Dovremmo richiedere alle nostre autorità maggiore consapevolezza, ma credo che a noi di una “certa età”, per il bene dei nostri figli e del pianeta, questa rivoluzione del mangiare meno carne ci tocchi farla in prima persona! E’ una scelta al di sopra delle parti, un neo umanesimo necessario per il futuro del pianeta a cui prima o poi tutti saremo obbligati a dare una risposta. Per iniziare questa rivoluzione consiglio come ricetta del giorno di mangiare la metà della carne che assumete in una settimana; un giorno sì e un giorno no limitandone le quantità e sostituendo il tutto con proteine vegetali. Superata questa fase, la rivoluzione può continuare diminuendo o addirittura smettendo di mangiare carne rossa, che è quella che inquina di più. Non è uno scherzo e funziona davvero. Nessuno vi chiede di diventare vegetariani o vegani; intanto iniziamo a fare la rivoluzione: meno carne per tutti.

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