Anche i sindaci di centrodestra criticano il governo per i ritardi nei pagamenti dei lavori legati al Pnrr, che lasciano i Comuni con il cerino in mano. Pochi parlano in pubblico e i più minimizzano: normalità amministrativa, il problema è in via di risoluzione. Preferiscono sbottonarsi sul web, i primi cittadini, in un luogo riservato: il gruppo Facebook “Se sei sindaco” ne raduna 5433. È una “comunità” chiusa, vietato l’accesso ai non addetti ai lavori. Il Fatto Quotidiano ha potuto scorrere alcuni post lungo la bacheca, leggendo testimonianze al vetriolo.

Del resto, il problema è innegabile. I mancati trasferimenti alle amministrazioni locali, da parte dello Stato, sono schizzati alle stelle secondo l’Associazione nazionale dei comuni (Anci): ammontavano a 2,5 miliardi nel 2018, nel 2023 sono volati a 12,5 miliardi. Quintuplicati. Sono i residui non riscossi per contributi statali agli investimenti. Impossibile misurare la fetta della torta legata al Pnrr, ma all’Anci nessun dubbio: la cifra si è impennata per i ritardi dello Stato nei rimborsi sul Piano di ripresa e resilienza.

Sindaci di centrodestra contro i ritardi del governo – Se ne è accorto Giannantonio Stangherlin, eletto il giugno scorso sindaco di Cassola, 15 mila abitanti in Provincia di Vicenza. Nel riserbo del gruppo Facebook, il primo cittadino sostenuto dalla Lega si lancia in un’accorata denuncia contro i ritardi del governo: “Non abbiamo tuttora incassato nulla!”, scrive in maiuscolo Stangherlin. A cosa si riferisce? Due progetti, stando al post sul social network: la demolizione e ricostruzione di una scuola, più la realizzazione di un nuovo asilo nido. La scuola ha un costo di 3.800.000 – scrive il sindaco – ma “mancano ben 1.500.000 euro di fondi Pnrr, che Ministero e Ragioneria di Stato non hanno ancora rimborsato”. Per il nido invece servono 1.500.000 euro in tutto: “Fatta la progettazione esecutiva dell’opera, la gara, l’affidamento dei lavori entro settembre (il termine era ottobre, poi prorogato a dicembre), stipulato l’accordo col Ministero, chiesto l’acconto del 30%, non abbiamo incassato nulla!”. Abbiamo provato a contattare il sindaco, per capire se i soldi siano finalmente giunti in cassa. Nessuna risposta dal primo cittadino.

Andrea Grassetto è il sindaco di Pettorazza Grimani, 1.464 anime in provincia di Rovigo. Fa parte dell’assemblea nazionale di Fratelli d’Italia. Il 29 ottobre ha chiesto informazioni sul gruppo Facebook: “Qualcuno ha usufruito delle opportunità del Pnrr dedicate alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e se sì, ha ricevuto i fondi? Stiamo aspettando più di 100.000 euro di contributi, per un piccolo comune come il nostro sarebbe oro colato”. Al sindaco meloniano avremmo domandato se dal governo sono arrivati i soldi. Ma dopo aver contattato la segreteria comunale, nessuna risposta è pervenuta.

Ritardi nei pagamenti? Penali per i comuni, nulla per i ministeri – Lamentele per i ritardi, sul gruppo “Se sei sindaco”, arrivano da amministratori di tutti i colori. Aldo Casorati è un civico da guinness: 76 anni, a giugno per l’ottava volta è stato eletto sindaco di Casaletto Ceredano, un migliaio di abitanti in provincia di Cremona. Sul social ha denunciato “gli enormi ritardi nei pagamenti dei lavori già eseguiti per opere finanziate da Pnnr, Piccole e Medie opere, finanziamenti per adeguamento prezzi”. Dunque l’invito ai sindaci per lanciare insieme un appello a Meloni: “I cantieri si stanno fermando, le imprese apriranno contenziosi con i comuni, è veramente una priorità assoluta”.

A Casaletto il Pnrr fa capolino con il progetto di un asilo nido. Costo, 500mila euro. “Dal governo è arrivato solo il 30% dell’anticipo, circa 150mila euro, gli altri 350 li ha messi solo il comune e attendiamo il rimborso”, dice Casorati al Fatto.it. Il sindaco lamenta ritardi ministeriali anche per le piccole e medie opere uscite dall’orbita Pnrr: 3 in tutto. “Due sono state già assegnate alla ditta, dal ministero doveva subito arrivarci il 50% dell’importo totale, invece lo abbiamo anticipato noi – prosegue il sindaco – Le terza opera è già finita e abbiamo pagato tutto di tasca nostra, 50mila euro”. Casolari è tranchant: “Il governo ha deciso di farci impazzire con i ritardi nei trasferimenti, così non possiamo andare avanti”.

Scendendo nel centro Italia, in provincia di Frosinone nel comune di Fontana Liri, il sindaco Gianpio Sarracco (Pd) prova a barcamenarsi per chiudere il bilancio. Una voce lo irrita: le penali per i ritardi nei pagamenti. “L’anno scorso sono costate 43mila euro alle casse comunali”, lamenta il primo cittadino porgendo una domanda: “Come posso saldare in tempo, se a tardare è il governo?”. Dopo 30 giorni dalla data della fattura, infatti, se il comune non paga scatta la multa. A Fontana Liri c’è un solo progetto legato al Pnrr, per mitigare il rischio idrogeologico e rendere percorribile una strada travolta da una frana. Costo: circa un milione di euro.

Ma dopo la prima tranche dei lavori, la ditta ha chiesto un acconto di 550mila euro. Il comune ha atteso i soldi dallo Stato, con il risultato che il cantiere è rimasto fermo 8 mesi. Fino a quando il sindaco si è rivolto alle banche per un anticipo di tesoreria. Pagata la fattura, i lavori sono ripartiti. Ma il saldo è arrivato con circa 7 mesi di ritardo. Ora Sarracco attende di conoscere l’ammontare della sanzione. “Noi sindaci paghiamo penali – accusa il sindaco – ma se il governo ritarda i pagamenti non succede nulla”.

Burocrazia folle, un’autocertificazione per tutto – Sindaci e funzionari Anci sono d’accordo: se lo Stato versa ai comuni i soldi in ritardo, in buona parte è colpa della burocrazia. Sulla piattaforma digitale Regis, i funzionari locali inseriscono tutti i dati utili ai ministeri per autorizzare il trasferimento di denaro. I burocrati statali impiegano tra i 2 e i 4 mesi per le verifiche. Ad ogni piccolo intoppo – basta un refuso – l’ingranaggio può andare in tilt.

Basta una carta sprovvista del logo “Next generation Eu” per fermare una procedura. Oppure uno sbaglio nel codice cup, la sigla numerica associata ad ogni opera pubblica: 200 o 300 comuni vi sono incappati. Ma è come una cifra errata nel codice fiscale, tornare indietro è un’odissea. Le checklist, lunghi e complessi moduli da compilare per ogni richiesta di rimborso, possono essere un labirinto per comuni e ministeri. Poi c’è il capitolo Iva: i comuni devono dimostrare di aver pagato l’imposta sui lavori, ma il modulo F24 offre la cifra complessiva senza specificare l’importo dei progetti del Pnrr. Soluzione: un’autocertificazione del comune. Idem per i controlli dell’amministrazione locale sulla tutela dell’ambiente, cioè l’applicazione del protocollo Dnsh (Do no significant harm): fonte di molti ritardi, si è tagliata la testa al toro di nuovo con l’autocertificazione. Un rimedio passepartout.

La soluzione? Un decreto del Mef, con il timore del cavillo – Perciò il governo ha approvato l’articolo 18 quinquies del decreto legge omnibus, il n. 113, il 9 agosto scorso: invece di una moltitudine di carte per autocertificare singoli adempimenti, dice la norma, al comune basta presentarne una al ministero, per dichiarare il rispetto delle norme italiane ed europee sulle opere del Pnrr. Tanto basterebbe per giustificare il rimborso da parte dello Stato, fino al 90% del costo dell’opera. I controlli arriverebbero in un secondo momento, con la possibilità di revocare il pagamento. Il provvedimento è stato convertito in legge il 7 ottobre, ma perché diventi operativo serve un altro decreto del ministero dell’Economia da approvare entro il 6 dicembre. I comuni fremono, ma temono il cavillo che invece di risolvere rispedisce la barca in alto mare.

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