Alberto è partito nel 2017, a 22 anni. Matteo nel 2018, quando ne aveva 25. Il primo è andato nel Regno Unito, il secondo oggi è in Spagna. Cosa li accomuna? Il lavoro in una multinazionale (Alberto è manager in Warner Bros Discovery, mentre Matteo è ingegnere in Spotify), ma anche la voglia di ispirare altri ragazzi italiani a “buttarsi” e fare un’esperienza da expat. “Lasciare il proprio Paese non è mai una scelta facile o scontata”, raccontano.

Appena finiti gli studi in Economia e Management all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Alberto ha inviato la candidatura online per il settore marketing di una multinazionale e dopo svariati colloqui gli è stata offerta l’opportunità di trasferirsi nel Regno Unito da neolaureato. A dimostrazione del fatto che, uno, “la preparazione delle università pubbliche italiane è di prim’ordine”, due, che “è possibile fare il salto senza conoscenze o aiuti di alcun genere”, ricorda nell’intervista a Ilfattoquotidiano.it. Matteo, invece, ha lasciato il suo impiego a Milano ed è arrivato nel Nord dell’Inghilterra in una piccola azienda di 20 dipendenti come sviluppatore. Dopo “tanto studio e impegno”, oggi è ingegnere software in una multinazionale.

La prima volta che si sono incontrati, Alberto e Matteo si trovavano a York, una città nel nord del Regno Unito “che quando me l’hanno menzionata non sapevo nemmeno collocare su Google Maps”, ride Alberto. Dalla preoccupazione iniziale di finire in un luogo “remoto”, “da solo” e senza “possibilità di fare conoscenza con altre persone”, si è passati alla “benedizione sotto mentite spoglie”, in quanto York si è rivelata come una delle città “universitarie più vibranti del Paese”, piena di ragazzi da tutto il mondo, aperta culturalmente ed estremamente vivibile. Matteo, invece, quando si è trasferito ha trascorso un periodo in una “classica casa inglese a schiera”, ospite di una vecchietta di nome Helen che “fin da subito è diventata una famiglia per me”. Il primo coinquilino di Alberto, Kuber, era indiano, di Calcutta, e tuttora è uno dei suoi migliori amici. Qualche mese dopo ha conosciuto Matteo e, come si dice da quelle parti, il resto è storia.

Così è nato il loro podcast, Italnauti, che ha proprio l’obiettivo di “aprire una finestra sul mondo, ispirando e motivando altri connazionali che sognano una vita e una carriera all’estero”, intervistando scienziati al Polo Sud, astrofisici alla NASA, imprenditori, manager, atleti, viaggiatori estremi, YouTuber. Storie per dimostrare che nella vita, così come nel mondo, non esistono davvero confini. Italnauti, raccontano, è un progetto che “gestiamo per pura passione, di sera e nei weekend, per celebrare l’eccellenza italiana nel mondo e condividere quanto l’andare all’estero abbia aperto i nostri orizzonti e cambiato la nostra vita e carriera in positivo”.

Dopo diverse esperienze lavorative in Italia, Matteo conferma che ci sono parecchie differenze nell’organizzazione del lavoro: “Una su tutte è che all’estero l’opinione del dipendente viene presa in considerazione anche nelle fasi strategiche”. A volte bisogna fare dei compromessi, certo, ma “ho notato fin da subito come ciò influisse sulla gestione dell’intera mole lavorativa, sulle aspettative del cliente e anche sul mio umore in quanto mi sono sentito ascoltato fin dall’inizio”. In Italia, al contrario, “mi si diceva cosa fare e quanto tempo avevo, senza che potessi dare alcun input a riguardo”. “Nel Regno Unito – aggiunge Alberto – ho notato un profondo rispetto per la work-life balance, sia per la flessibilità degli orari lavorativi che per l’interesse del benessere mentale, per fare in modo che il dipendente sia nelle condizioni migliori per lavorare”. Inoltre, c’è molta meno attenzione alle ore di lavoro rispetto al risultato ottenuto, continua: “Finché riesci a realizzare i tuoi obbiettivi (consegnare un progetto, raggiungere la tua quota vendite) non importa quanto e dove lavori. Si dà peso alla sostanza”.

Per Alberto stare tanti anni fuori dall’Italia ha significato rivalutare il proprio Paese sotto diversi aspetti, positivi e negativi. “È e rimarrà sempre la mia casa – spiega – I valori di comunità, stile di vita, ambienti e paesaggi sono unici al mondo”. Ma allo stesso tempo l’Italia è indietro su altri fronti rispetto alle culture che ha avuto modo di sperimentare, come la mobilità lavorativa, la meritocrazia, l’internazionalità.

Dare spazio alle voci, alle storie e ai punti di vista di tanti italiani che hanno scelto di trasferirsi all’estero ti fa cambiare prospettiva. E ora il podcast vuole espandersi anche fuori dal digitale: “Da qualche mese abbiamo lanciato una serie di eventi per italiani a Londra che continuano a essere sold out e che a breve replicheremo a Barcellona”, dove Matteo si è appena trasferito.

Nei prossimi anni Alberto si immagina da qualche parte, là fuori, probabilmente ancora nel Regno Unito, circondato da ambienti, amici e affetti che “corrispondono ai miei stessi valori di internazionalità e curiosità verso il mondo”. Matteo vorrebbe rallentare e vivere una vita diversa, “non per forza speciale”, ma diversa, con maggiore libertà di gestire il proprio tempo. “Si crede spesso che chi vive e lavora all’estero guardi l’Italia dall’alto in basso e a volte veniamo etichettati quasi come traditori della patria. Io amo l’Italia, per me è il Paese più bello al mondo, però la bellezza non porta il pane in tavola. Ad essere onesti, il giorno prima della partenza ho pianto parecchio dopo aver salutato amici e familiari. Me ne sono andato a malincuore. Al momento l’Italia per me rappresenta il Paese perfetto per una vacanza, ma non per costruire un futuro”.

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