Fermati mentre facevano il proprio lavoro, identificati, portati in commissariato, perquisiti. E’ il trattamento che la polizia ha riservato a tre giornalisti che stavano seguendo un’azione di Ultima Generazione, il movimento che si batte per la sensibilizzazione sul tema del cambiamento climatico attraverso la disobbedienza civile non-violenta. A essere bloccati e portati negli uffici a bordo di una volante sono stati la videomaker collaboratrice de ilfattoquotidiano.it Angela Nittoli, il fotografo del Corriere della Sera Massimo Barsoum e il videomaker freelance Roberto Di Matteo. “Siamo stati fermati, nella zona di via XX Settembre a Roma, da alcuni poliziotti in divisa e da qualche agente in borghese, in tutto circa una decina” racconta Nittoli.

I giornalisti, come sempre accade quando ci sono azioni del gruppo, erano stati invitati ad incontrarsi davanti a un luogo prestabilito – in questo caso un bar della zona – senza sapere quale sarebbe stata la destinazione. Poi da lì si sono mossi alla spicciolata. Chi a piedi, chi con lo scooter. I tre cronisti hanno scelto di seguire a piedi i giovani attivisti e camminavano una ventina di metri dietro a loro quando i poliziotti li hanno fermati e chiesto di mostrare i documenti: “Cosa che abbiamo fatto – continua il racconto della collaboratrice de ilfatto.itidentificandoci subito come stampa e mostrando, oltre alle carte d’identità, anche i tesserini dell’Ordine dei giornalisti“.

Una versione che la Questura contesta, in serata, con un comunicato stampa. “All’esito di una verifica sulle identificazioni effettuate nel pomeriggio nei pressi di via Flavia, il personale intervenuto ha relazionato che i soggetti sul posto non hanno dichiarato o dimostrato di essere giornalisti“, si legge nella nota in cui viene aggiunto che i giornalisti hanno esibito delle carte di identità che sono state registrate nella relazione di servizio. Tanto che, prosegue la nota, “nello stesso momento nella zona di via Veneto dove era in corso un imbrattamento, altri appartenenti all’ordine dei giornalisti, dopo aver esibito il tesserino professionale, hanno continuato a fare regolarmente il proprio lavoro senza esser sottoposti ad alcun ulteriore controllo”. E tuttavia, secondo il racconto della nostra collaboratrice, il contenuto della nota non corrisponde al vero: “Abbiamo dato i documenti qualificandoci come giornalisti e mostrando il tesserino dell’Ordine. Ci è stato risposta che non era necessario”, continua il racconto di Angela Nittoli.

Anche il dipartimento di pubblica sicurezza del Viminale, in serata, ha emesso un comunicato sulla stessa linea: “A Roma e nel resto del territorio nazionale non è mai stata data una direttiva operativa che preveda l’identificazione di giornalisti e operatori dell’informazione in occasione di manifestazioni pubbliche. Singoli episodi che hanno portato all’identificazione sono avvenuti in contesti dove la qualifica di giornalista non era stata dichiarata o dimostrata. Trattasi in ogni caso di circostanze che non sono riconducibili a nuove modalità operative”.

Fatto è che per circa mezz’ora i cronisti vengono trattenuti sul ciglio della strada, a poca distanza da dov’erano stati fermati, senza che – volendo seguire la linea di Questura e Viminale – la loro qualifica venga chiarita. Ai giornalisti viene detto che non possono usare i cellulari. Ma non finisce qui. “Con la motivazione di dover fare ulteriori controlli – aggiunge Nittoli – gli agenti hanno chiamato una volante della Polizia per farci portare in commissariato“. Anche in questo caso – a bordo dell’auto di servizio delle forze dell’ordine – niente cellulari, hanno ordinato gli agenti. E per questo “ci hanno fatto riporre gli zaini e le borse nel bagagliaio” sottolinea ancora Nittoli.

Una volta al commissariato di Castro Pretorio, sono partite le perquisizioni, non è noto alla ricerca di cosa. Dopo questa operazione i tre cronisti sono stati portati in quella che i poliziotti hanno definito “celletta“, una stanza di massimo 2 metri per 3 con la porta blindata tenuta aperta, ma sorvegliata: “Un po’ ovunque – racconta la giornalista del Fatto – sembravano esserci macchie di sangue”. “Ho chiesto di andare in bagno – continua – e sono stata accompagnata da una poliziotta e mi è stato detto di non chiudere la porta, ma di lasciarla socchiusa. Alle nostre richieste di essere spostati in sala d’attesa, ci è stato risposto che non ci trovavamo lì per sporgere una denuncia e che quindi saremmo dovuti rimanere in quel posto“. Tutto si è concluso dopo circa due ore: ai giornalisti sono stati restituiti i loro documenti ed è stato permesso loro di uscire. Ma passato quel tempo, dice Nittoli, non è stato più possibile “fare il nostro lavoro giornalistico di documentazione e ripresa”. L’azione degli attivisti di Ultima Generazione si era infatti già conclusa.

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La foto in alto è relativa all’intervento della polizia durante l’azione di Ultima generazione

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