Arrestato per lo scandalo Mose, aveva preferito patteggiare una pena di due anni e sei mesi di reclusione, aderendo alla confisca di beni fino alla concorrenza di due milioni di euro. Per questo il vitalizio dell’ex assessore alla viabilità del Veneto, il forzista Renato Chisso, era virtualmente passato dalle casse della Regione a quelle dell’Erario. Sei anni dopo, Chisso ha ottenuto di tornare in possesso di una parte dell’importo, visto che i vitalizi vengono considerati alla stregua della pensione e quindi non ne può essere sequestrato più di un quinto dell’entità totale.

A sostenere questa linea difensiva vincente in Tribunale è stato l’avvocato Maurizio Paniz, già parlamentare di Forza Italia, che negli ultimi anni ha sostenuto numeri ricorsi da parte di deputati e senatori contro i tagli ai vitalizi. Il caso in questione è però diverso e riguarda gli effetti di sentenze penali, con un effetto economicamente importante.

Chisso era finito in carcere nel 2014 a causa delle mazzette pagate da Giovanni Mazzacurati, il presidente del Consorzio Venezia Nuova che aveva distribuito soldi un po’ a tutti, in particolare ai politici. La pena patteggiata era stata scontata prima nel carcere di Pisa, poi agli arresti domiciliari. Chisso non è mai entrato in possesso di 332mila euro di vitalizio che gli era dovuto dal consiglio regionale. Infatti, i militari del nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Venezia avevano notificato alla Regione un ordine di confisca per ripianare una parte dei danni di cui Chisso era ritenuto responsabile. Il ricorso presentato dall’avvocato Paniz parte da un principio giuridico riconosciuto sia dalla Corte di Cassazione che dalla Corte Costituzionale, ovvero che i vitalizi – maturati sia in Parlamento che nelle amministrazioni regionali – costituiscano un trattamento pensionistico. Per questo non possono essere confiscati totalmente.

Spiega l’avvocato Paniz: “Si tratta di un trattamento maturato in quanto corresponsione della quota parte dei contributi versati dal lavoratore. Per questo il lavoratore ha diritto ad averne una parte e il sequestro totale non è accettabile”. Il ricorso è stato presentato al giudice dell’esecuzione del Tribunale di Venezia, che ha riformato una precedente ordinanza, che risaliva al giugno dello scorso anno. Vigono i limiti stabiliti dall’articolo 545, comma 7, del codice di procedura civile. “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà”. Sulla parte eccedente l’ammontare di una mensilità è mezzo viene poi calcolato il quinto pignorabile. Quanto potrà recuperare Chisso dei 332mila euro? “Si tratta di alcune centinaia di migliaia di euro, a cui vanno aggiunti gli interessi, la rivalutazione e il vitalizio mensile per la quota non suscettibile di sequestro” spiega l’avvocato Paniz.

In una situazione analoga potrebbe trovarsi anche l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, arrestato nel 2014 sempre per lo scandalo Mose, che in una recente intervista ha dichiarato: “Stento a campare, non mi compero una camicia da dieci anni. Sono stato condannato dalla Corte dei Conti a pagare 5 milioni per danno d’immagine alla Regione, fino a che non saldo non posso avere carte di credito e conti correnti, perché mi tolgono sistematicamente tutto”.

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