Dalla bocca all’intestino per capire come fermare in tempo un tumore al colon. Una nuova ricerca in campo oncologico conferma l’importanza della salute del microbioma intestinale e apre importanti prospettive su come migliorare le diagnosi e curare tempestivamente questa grave patologia. Un gruppo di ricerca del Fred Hutchinson Cancer Center di Seattle ha studiato un batterio presente nel cavo orale degli esseri umani che è collegato alla crescita e alla progressione del cancro al colon. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, ha messo in evidenza che uno specifico sottotipo di batterio, detto “clade”, presente all’interno di una sottospecie di Fusobacterium nucleatum, può essere alla base dell’insorgenza della malattia e aiutare a mettere a punto migliori metodi diagnostici non invasivi per il cancro al colon e terapie mirate a questi batteri per eliminare il tumore.

La ricerca – Il F. nucleatum, associato alla placca dentale e alla gengivite, è naturalmente presente nel microbioma della bocca. Per capire meglio come questo batterio influenzi l’ambiente intestinale a tal punto da favorire lo sviluppo del cancro al colon, il primo passo è stato analizzare i genomi di F. nucleatum trovati nei tumori del colon per confrontarli con quelli trovati nella bocca. I ricercatori hanno campionato i tumori del colon da circa 100 persone, quindi hanno frammentato i tessuti tumorali e li hanno messi su piastre di agar per permettere ai batteri presenti di crescere. Dopo aver isolato il F. nucleatum da queste colture, gli scienziati hanno eseguito un processo chiamato long-read sequencing per ottenere una visione completa del genoma del batterio. Il gruppo ha confrontato le sequenze dei tessuti del cancro al colon con quelle di F. nucleatum provenienti dalla bocca di individui sani.

Questo ha rivelato due cladi (gruppi) principali che si distinguono per alcune caratteristiche del DNA e nei modelli di proteine codificate. I batteri dei due cladi avevano anche un aspetto diverso tra loro al microscopio: gli esemplari del secondo clade erano più lunghi e sottili di quelli del primo. F. nucleatum animalis dei tumori del colon rientrava in modo preponderante nel secondo clade. Interessante le caratteristiche di questi ultimi: sembrano aiutare i batteri a sopravvivere al pericoloso viaggio dalla bocca all’intestino, come la capacità di nutrirsi in ambienti ostili come il tratto gastrointestinale fortemente acido o di invadere meglio le cellule. Questi batteri hanno anche “uno dei più potenti sistemi di resistenza agli acidi” che si possano trovare proprio nei batteri, che permette loro di tollerare l’ambiente acido dello stomaco, spiega Christopher Johnston, genetista del Fred Hutchinson Cancer Center e coautore dello studio. In sintesi, il quadro che è emerso alla fine di questa fase di studio è che i microbi del secondo clade sono più fortemente associati al cancro del colon. Ma non è finita qui. Occorrevano altri elementi per comprendere meglio come questi microbi interagiscono con l’intestino. Per farlo, si è utilizzato questa volta un campione di cavie animali.

Lo studio su cavie animali – I ricercatori hanno somministrato a un gruppo di topi una singola dose orale di F. nucleatum animalis del clade 1 e a un altro una dose del clade 2 (quello appunto associato al tumore al colon), quindi hanno contato il numero di tumori formatisi. I topi del gruppo del clade 2 hanno sviluppato un numero significativamente maggiore di tumori intestinali di grandi dimensioni rispetto a quelli a cui era stato somministrato il batterio del clade 1 o un gruppo di controllo in cui non era presente nessuno dei due batteri. Le molecole metaboliche all’interno dei tumori dei topi con batteri del clade 2 erano maggiormente associate a un danno cellulare dovuto a stress ossidativo, alla divisione delle cellule cancerose e all’infiammazione rispetto ai topi del gruppo di controllo e del gruppo di batteri del clade 1. Che cosa significa tutto questo? L’ipotesi è che i batteri del clade 2 contribuiscano a produrre un ambiente pro-infiammatorio e pro-oncogeno. Il gruppo di ricerca ha però sottolineato anche che sono necessarie ulteriori prove da parte di un gruppo più ampio di persone affette da cancro al colon, nonché ulteriori ricerche per capire esattamente in che modo i batteri possano contribuire all’infiammazione e alla progressione del cancro.

Il parere dell’esperto – “Sapevamo già da tempo della relazione tra batteri del cavo orale e insorgenza di tumori al colon. La novità della ricerca è data dalla presenza di un sotto ceppo del F. nucleatum animalis, il clade 2, che supera il succo gastrico – che normalmente distrugge i batteri nocivi – riesce a nutrirsi e colonizzare il colon trovandosi spesso dentro le cellule tumorali del colon”, spiega al Fattoquotidiano.it il professor Gabriele Capurso, responsabile di Unità Funzionale di Ricerca Clinica presso l’Unità Operativa di Endoscopia Biliopancreatica ed Ecoendoscopia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e Vice Direttore del Centro per la Ricerca e Cura sulle Malattie del Pancreas del San Raffaele. Quali prospettive si possono aprire dal punto di vista terapeutico? “In una visione più futurista si potrebbero ingegnerizzare questi batteri e trasformarli in vettori che trasportano, paradossalmente, un principio attivo curativo. Restando su un piano più immediato, si potrebbe lavorare su specifici antibiotici o probiotici in modo da riequilibrare il microbioma intestinale per ridurre il rischio di sviluppare un tumore. Ma ancora più efficace è lavorare in ottica di prevenzione”. I ricercatori affermano che questa scoperta sarebbe utile per diagnosi precoci e non invasive. “Prima di tutto, in ottica di prevenzione, sapere che un sottoceppo così particolare di questo batterio è in relazione col tumore del colon potrebbe essere utile per la diagnosi precoce su campioni di feci o per la prevenzione in soggetti a rischio, magari con una storia familiare molto forte, in una fase in cui stanno ancora bene. Questo approccio potrebbe essere efficace anche per il tumore al pancreas, un ambito di cui stiamo per pubblicare un nostro studio in cui emerge un’analoga correlazione con il batterio presente in caso di parodontite”. Appare sempre più cruciale l’importanza di mantenere equilibrato il microbioma intestinale: “Dobbiamo pensare al microbioma come a una comunità multietnica. Più c’è diversità, maggiore è l’arricchimento per l’organismo e, nel nostro caso specifico, più salute. Il clade 2 è un batterio forte, una sorta di colonizzatore che vuole farla da padrone, che riduce la diversità e apre le porte al rischio di malattie gravi”. Il nostro stile di vita sta aprendo la strada a questo prepotente colonizzatore? “Di fatto, c’è un’associazione tra consumo di cibi ultra processati, carni allevate con antibiotici, fumo” ma c’entrano anche “gli antibiotici somministrati ai bambini in modo improprio e che selezionano batteri molto resistenti” nonché “l’abuso di farmaci anti acido che si possono assumere senza prescrizione medica (che sterilizzano l’ambiente gastrico)”. Tutto questo produce un effetto comune: “La riduzione della complessità del microbioma intestinale. Un fenomeno crescente negli ultimi decenni che sta portando a un aumento di problemi di salute su cui dobbiamo porre al più presto rimedio”.

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