di Leonardo Botta

Insegno al biennio di un istituto tecnico. Ho tanti studenti, circa un centinaio spalmati su sei classi articolate in vari indirizzi di studio. Il numero di ragazzi stranieri in ognuna di esse non supera le due o tre unità, che rapportate a un totale di circa venti studenti per classe non raggiunge il limite del venti percento ipotizzato in questi giorni da Salvini e Valditara. Credo, quindi, che la proposta del leader della Lega e del ministro dell’Istruzione e del Merito non avrebbe alcun impatto concreto sulla mia scuola.

E non ho particolari difficoltà a trovare, in astratto, una ratio ragionevole in un’idea del genere, che risponde a un tutto sommato buon principio di integrazione che provo a spiegare con la mia esperienza di docente: spesso vedo, nei corridoi, all’ingresso o uscita da scuola, gruppetti di ragazzi stranieri, anche di classi diverse, conversare in lingua araba tra loro. Nulla di male, naturalmente, ma mi pare ovvio che se essi fossero concentrati in alto numero nella stessa aula, potrebbe rafforzarsi la loro tendenza a usare la propria lingua di origine piuttosto che l’italiano (un po’ come dire che, quando si va all’estero in Erasmus per imparare le lingue, non è produttivo frequentare connazionali).

Sono però consapevole che non tutte le realtà scolastiche sono come quella in cui vivo io: l’esempio più calzante è la scuola di Pioltello dove è stato deliberato, tra mille stucchevoli polemiche, un giorno di sospensione delle attività didattiche per il fine Ramadan, vista l’alta percentuale di studenti musulmani (da quello che ho letto, tra il 40 e il 50 percento) che la frequentano e si assentano in questa giornata per loro di festa (che sia di festa, lo capisco bene quando qualche mio alunno marocchino o tunisino mi dice che è un po’ giù di corda a causa del digiuno imposto dal Ramadan).

Allora mi pongo un quesito: nei contesti territoriali in cui alta è l’incidenza della popolazione immigrata (penso alle regioni più produttive del Settentrione), le istituzioni scolastiche e lo Stato possono arrogarsi il diritto di vietare l’iscrizione a un alunno straniero solo perché in una classe, corso o indirizzo si è già raggiunto il plafond del venti percento? A me questa sembra una evidente lesione del diritto allo studio che spetta a ogni cittadino in erba che calpesti il suolo italiano, così ben sancito dall’art. 34 della nostra Costituzione, proprio quella citata da Valditara in un (invero un po’ sgrammaticato) tweet per argomentare la proposta: “Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani…”.

E poi, in questo “calcolo” vanno inclusi anche i figli di immigrati che sono nati in Italia e quindi italofoni e soprattutto italiani sotto tutti i punti di vista, salvo che per il dettaglio normativo (a mio avviso molto opinabile) che vede il nostro ordinamento non contemplare alcuna forma di ius soli o scholae o culturae che dir si voglia? Questo è, secondo me, un aspetto non secondario, atteso che la normativa scolastica già contempla un tetto alla presenza di stranieri nelle nostre aule scolastiche (30%, comunque derogabile per peculiari esigenze), come stabilito da una vecchia circolare dell’ex ministra Gelmini che faceva leva soprattutto sull’esigenza di accompagnare gli studenti stranieri nel potenziamento della lingua italiana.

Insomma, se vogliamo buttarla in politica, diciamo che per Salvini è cominciata da un pezzo la campagna elettorale per le Europee, quelle elezioni che videro cinque anni fa il Carroccio al massimo storico del 34% grazie alla sua propaganda populista e identitaria, che quest’anno potrebbe non bastare per frenare l’emorragia di consensi dalla Lega verso gli alleati di centro-destra.

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