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I test ai magistrati? Strumento di propaganda. Ho qualcosa da dire a Nordio e Gasparri

I test ai magistrati? Strumento di propaganda. Ho qualcosa da dire a Nordio e Gasparri
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Seguo pedissequamente la vicenda dei test psicologici ai magistrati. Ancor prima di esprimermi, vorrei fare una semplice domanda la ministro Nordio, atteso che in un talk show, si è affermato che i test sono necessari dato che su cento rinviati a giudizio, pochi vengono condannati definitivamente. Non so su quali dati viene formulata siffatta considerazione. Ma vengo a Nordio.

Ministro, quando ella faceva il Pm, quanti imputati vennero condannati con sentenza passata in giudicato sul rinvio a giudizio da lei chiesto? Io ho la netta sensazione che lei stia svolgendo il suo mandato governativo, come una persona che abbia risentimento verso i suoi ex colleghi, piuttosto che migliorare la magistratura. Ebbene, può darsi che io mi stia sbagliando ministro, ma penso che questi test psicologici tanto enfatizzati, siano uno strumento di propaganda, che disorientino i cittadini, e che sembrano una sorta di assoggettamento della magistratura ai potenti degli ambulacri del potere romano.

Se devo essere sincero, a me sembra l’attuazione di un progetto iniziato tantissimi anni fa durante la genesi berlusconiana. Non voglio qui evidenziare le parole gravissime pronunciate da Berlusconi all’indirizzo dei magistrati: sono state parole offensive della dignità e dell’onore dell’intera magistratura italiana. Durante la mia attività investigativa, ebbi modo di conoscere e assistere decine e decine di magistrati, tra i quali Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e persino Patrick Fitzgerald, procuratore degli Stati Uniti a New York, durante il processo alla nota famiglia newyorchese dei Gambino. Ebbene, non ho mai e dico mai riscontrato anomalie comportamentali o carenze professionali. Sarò stato fortunato? Forse!

Detto ciò, ora vorrei rivolgermi al senatore Gasparri e a tanti altri parlamentari, che “abbanniano” (urlano) con enfasi, allo scandalo di Bari, con riferimento a quanto riferito dal presidente della Regione Puglia Emiliano. Sono in sintonia con Gasparri e altri quando affermano che il narrato di Emiliano doveva essere denunciato. In me si sfonda una porta aperta, visto che la mia vita professionale è stata sempre indirizzata nell’espletamento delle indagini per accertare le verità. Epperò, c’è un però, per imparzialità di giudizio, il senatore Gasparri, dovrebbe ricordarsi la vicenda del noto defunto imprenditore, che dopo aver ricevuto minacce, invece di recarsi alla polizia per sporgere denuncia, preferì la protezione di Cosa nostra, pagando milioni e milioni di lire all’anno. E lo stesso imprenditore, assoldò e diede ospitalità nelle sua elegante residente un “punciuto” (mafioso pluriomicida) di Cosa nostra, per accudire i cavalli. Si quei cavalli, che come risulta da un’intercettazione, dormivano in una stanza d’albergo.

Invero, troviamo un altro imprenditore – siciliano – che per nulla intimorito non si piegò a Cosa nostra e pagò con la vita. Per concludere, mi piacerebbe che analoghi fatti, di Bari e del noto defunto imprenditore, venissero sempre denunciati. Ma tra i due fatti c’è una distanza siderale: il primo lo classificherei come un atteggiamento tipico di spavalderia, che comunque andava denunciato, l’altro invece qualcosa di più grave, perché si foraggiò segretamente Cosa nostra. Infine Gasparri, giù le mani dal magistrato Di Matteo.

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