A poco meno di otto anni dal rinvio a giudizio arriva a punto importante il processo per il fallimento della società Epolis che editava testate giornalistiche in diverse regioni. Le richieste di condanna per il crac da 130 milioni di euro del gruppo editoriale Epolis sono state pronunciate dal pubblico ministero Giangiacomo Pilia durante la requisitoria.

Le pene maggiori sono state sollecitate per l’ex editore Alberto Rigotti, 9 anni e 4 mesi, e per il fondatore della free press Nicola Grauso, 5 anni. La pubblica accusa ha poi chiesto la condanna a 6 anni e 2 mesi per Sara Cipollini, Vincenzo Greco e Alessandro Valentino, 4 anni e mezzo per Michela Veronica Crescenti, 4 anni per John Gaethe Visendi, 3 anni per Rosanna e Rosalba Chielli e le assoluzioni di Claudio Noziglia e Anna Abbatecola. Per varie posizioni, il pm ha sollecitato un gran numero di assoluzioni e prescrizioni. Oggi hanno parlato anche gli avvocati di parte civile. Tra questi Luca Pirastu, che ha chiesto un risarcimento di 4 milioni di euro.

L’inchiesta aveva portato all’arresto dei vertici societari: oltre a Rigotti, la vicepresidente della società, Sara Cipollini, e il consigliere di amministrazione Vincenzo Maria Greco. Per Cipollini e Greco furono disposti da subito gli arresti domiciliari, mentre per Alberto Rigotti si aprirono le porte del carcere. Nel 2016 l’ex vicepresidente della concessionaria di pubblicità Publiepolis, Carlo Momigliano, era stato assolto dall’accusa di bancarotta nel processo con rito abbreviato, l’unico degli imputati ad aver scelto questa strada. Il fallimento del gruppo editoriale Epolis – dichiarato il 14 gennaio 2011 – era costato decine di posti di lavoro tra giornalisti, grafici e amministrativi. Ma era dall’inizio del 2009 che i problemi erano cominciati come mancati pagamenti degli stipendi.

Alla fine del luglio 2010 le pubblicazioni erano state definitivamente sospese. Dalle indagini della Guardia di Finanza era merso che nel corso degli anni la società non aveva versato i contributi e il Tfr ai dipendenti. Non erano state pagate neppure le rate dei mutui che alcuni cronisti hanno acceso con l’Inpgi, la cassa di previdenza dei giornalisti che alla fine lamenterà un ammanco di quasi 4 milioni e 800mila euro di contributi previdenziali non versati.

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