“Valutare la possibilità di prevedere test psicoattitudinali per i candidati in ingresso nei ruoli della magistratura“. La vecchia idea del Piano di rinascita democratica di Licio Gelli, già ventilata nei mesi scorsi dal governo, viene formalizzata per la prima volta in un documento ufficiale, approvato dalla Commissione Giustizia del Senato guidata dalla leghista Giulia Bongiorno: il parere sullo schema di decreto attuativo della riforma Cartabia del 2022 sull’ordinamento giudiziario, licenziato a novembre dal Consiglio dei ministri. Si tratta, per capirsi, del decreto che introduce le famigerate “pagelleper i magistrati, valutazioni professionali basate anche sulla conferma delle loro scelte nei gradi successivi di giudizio. Il testo – trasmesso alle Camere il 22 dicembre scorso – era bloccato da due mesi nelle commissioni Giustizia, tra continui rinvii dovuti alla melina dell’esecutivo sulla riduzione delle toghe fuori ruolo nei ministeri, che dovrebbero passare da 200 a 180. Ora quello scoglio è stato superato, o per meglio dire aggirato, su input di palazzo Chigi: la previsione entrerà in vigore tra quasi due anni, il 31 dicembre 2025. Così al Senato il relatore del parere, il capogruppo azzurro Pierantonio Zanettin, ha potuto depositare la proposta della maggioranza, approvata mercoledì mattina con i voti di tutto il centrodestra e di Ivan Scalfarotto di Italia viva. Si tratta di una paginetta in cui si legge che “la Commissione esprime parere favorevole” al testo del governo, ma con due osservazioni: la prima incoraggia proprio “l’eventuale introduzione” di test psicologici per gli aspiranti magistrati, sul modello di quelli obbligatori per l’ingresso nelle forze dell’ordine.

Pd: “Provocazione, ora arriva il Tso?” – Si tratta di un suggerimento che difficilmente potrà essere raccolto dall’esecutivo senza violare la Costituzione: la delega Cartabia, infatti, non lascia alcuno spazio per l’inserimento di una norma del genere, limitandosi a prevedere una rimodulazione delle prove del concorso in magistatura. Ma il segnale politico è fortissimo: la maggioranza (con la solita stampella del fu “Terzo polo”) per la prima volta mette per iscritto un impegno programmatico sui test. Se non sarà in questo decreto, insomma, potrebbe essere nel prossimo. Insorge il Pd: “Una vera provocazione, di berlusconiana memoria, che evoca l’idea che il problema della magistratura sia la sanità mentale dei giudici. Una vera sciocchezza, se non fosse che si tratta dell’ennesimo tentativo di delegittimazione della magistratura, secondo un disegno oramai esplicito volto a metterne a rischio indipendenza, autorevolezza, autonomia. Un clima inaccettabile che continueremo a denunciare e contrastare”, attaccano i membri dem della Commissione, Alfredo Bazoli, Franco Mirabelli, Anna Rossomando e Walter Verini. Quest’ultimo, sui social, è ancora più duro: “Non è uno scritto di Licio Gelli, né un attacco di Berlusconi ai magistrati “mentalmente disturbati “. È quanto votato oggi da questa destra in Senato”, scrive su X, postando il testo del parere. “Dopo i manganelli e gli attacchi all’informazione, arriverà il Tso ai magistrati che contrastano corruzione e malaffare?”.

M5s: “Si scardina la Costituzione” – “Non ci stupisce affatto il parere della maggioranza che invita il governo a introdurre test psicoattitudinali per gli aspiranti magistrati, riproponendo uno dei punti qualificanti del piano di rinascita democratica di Licio Gelli, messo a punto per assoggettare una magistratura ritenuta pericolosa perché indagava sui mandanti occulti delle stragi e sugli affari sporchi dei potenti”, attacca invece il Movimento 5 stelle. “La continuità ideologica e culturale di questa maggioranza con alcune tristi esperienze del passato è chiara fin dall’insediamento di questo governo. Bisogna guardare i singoli provvedimenti senza perdere di vista il disegno complessivo con cui il centrodestra sta costruendo, a tappe forzate, un sistema che mira a scardinare l’impianto costituzionale e l’equilibrio tra i poteri, a sopprimere il dissenso, quindi la democrazia, e aspira a realizzare un complessivo riassetto dei poteri, concentrandoli in un unico vertice non sottoposto ad alcun reale controllo”, incalzano in una nota i senatori pentastellati in Commissione Giustizia, Anna Bilotti, Ada Lopreiato e Roberto Scarpinato. “La proposta di oggi, peraltro” – proseguono – “esorbita palesemente rispetto a quanto disposto dalla legge delega Cartabia, quindi è un’evidente forzatura: le disposizioni del decreto legislativo non possono mai assurgere a principi o criteri direttivi ulteriori rispetto a quelli previsti dalla delega. Si tratta di un’esibizione muscolare di chi pensa che essendo maggioranza possa fare quello che vuole. Basta aprire gli occhi per vedere cosa caratterizza l’azione del governo Meloni: ebbrezza di potere autoritario con il ricorso ai manganelli fisici e a quelli giudiziari”, concludono.

Le toghe progressiste: “Legge slogan, ossessione verso di noi” – Piovono critiche anche dal mondo della magistratura. “Non si comprende in cosa consisterebbe esattamente questo meccanismo di verifica psicoattitudinale dei candidati in ingresso in magistratura, che peraltro – risolvendosi in una specie di screening di massa – avrebbe il solo effetto di rallentare l’iter di riempimento delle piante organiche. Oltretutto la legge Cartabia non contiene una delega per l’introduzione di una simile previsione”, nota la vicepresidente dell’Anm Alessandra Maddalena. “Auspico che non si voglia riaccendere un clima conflittuale con la magistratura, la magistratura certamente non lo vuole”, aggiunge. “All’Italia servono magistrati preparati, seri, onesti e che diano risposte di giustizia in tempi celeri. Noto invece un’ossessione verso la magistratura, la voglia di controllarla, di trasformare un potere dello Stato autonomo ed indipendente in una burocrazia che compiace i potenti di turno“, commenta Giovanni Zaccaro, segretario di Area, la maggiore corrente progressista delle toghe. Per Stefano Musolino, leader di Magistratura democratica (l’altro storico gruppo di sinistra) quella proposta nel parere è “la solita legge slogan per indurre il sospetto di inadeguatezza nella cittadinanza”. Ma la capogruppo leghista in Commissione Giustizia, l’ex ministra Erika Stefani, tira dritto: “I test psicoattitudinali sono previsti in moltissimi concorsi pubblici, quindi non vediamo quale sia il problema. È giusto che quando si ricoprono ruoli così delicati e di responsabilità si valuti l’attitudine del candidato ad affrontare determinate situazioni di stress”, dice.

“Tutti gli atti nel fascicolo del magistrato” – La seconda osservazione del parere di Zanettin, invece, riguarda il nuovo “fascicolo del magistrato” istituito presso il Csm, sulla base del quale saranno attribuite le “pagelle” alle toghe: facendo propria una crociata del deputato di Azione Enrico Costa, il senatore azzurro scrive che nel fascicolo dovrebbero entrare “tutti gli atti e i provvedimenti redatti da ciascun magistrato, e non soltanto quelli scelti a campione”, come prevede attualmente lo schema di decreto. In questo modo – è la tesi – sarà più facile identificare “la sussistenza di caratteri di grave anomalia in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti nelle fasi o nei gradi successivi del procedimento e del giudizio”, uno dei nuovi elementi che potranno fondare i giudizi di professionalità. Con anche un solo giudizio “non positivo”, il giudice o il pm vede bloccati gli avanzamenti di carriera e di stipendio; con due giudizi negativi, la conseguenza obbligatoria è la radiazione. In base allo schema di decreto, l’anomalia è “grave” quando “il rigetto, la riforma o l’annullamento assumono carattere significativo rispetto al complesso degli affari definiti dal magistrato”, ma anche – altro intervento “ispirato” da Costa – quando”le ragioni del rigetto, della riforma o dell’annullamento sono in se stesse di particolare gravità“. Insomma, potenzialmente basterà un errore “rumoroso” per avere la carriera rovinata. Una prima bozza del decreto, invece, dava una definizione più restrittiva: si chiedeva che gli “errori” avessero un “carattere di marcata preponderanza e di frequenza rispetto al complesso degli affari definiti dal magistrato”.

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