La proposta di direttiva europea sulla violenza contro le donne uscita dal Trigolo (nel contesto della procedura legislativa ordinaria dell’Unione europea, un trilogo è un negoziato interistituzionale informale che riunisce rappresentanti del Parlamento europeo, del Consiglio dell’Unione europea e della Commissione europea; l’obiettivo di un trilogo è raggiungere un accordo provvisorio su una proposta legislativa accettabile sia per il Parlamento che per il Consiglio che sono i colegislatori) mercoledì scorso a Strasburgo ha lasciato molta amarezza e stupore a operatori/operatrici, attiviste, centri antiviolenza e sindacati e a chi in generale si occupa di questo dramma e crede che l’Europa possa essere un’ancora di salvezza là dove gli Stati non riescono a imporre una politica in grado di prevenire e contrastare la violenza contro le donne, ispirandosi ai principi della Convenzione di Istanbul entrata in vigore nell’Unione Europea il 1° ottobre 2023.

Dal 2022 la Commissione europea ha lavorato ad una direttiva su questa materia cercando di individuare quali fossero i punti di forza per prevenire e contrastare lo stupro, il femminicidio, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, le molestie, anche nei luoghi di lavoro, e la violenza online. Molte quindi erano le aspettative anche perché la proposta era stata votata, nel suo testo più completo, dalla Commissione del Parlamento europeo con 71 voti favorevoli su 83. Lo scoglio invece è stato quello del Consiglio europeo (cioè i governi degli Stati membri) che è colegislatore insieme al Parlamento, dove hanno pesato le posizioni contrarie ad alcuni articoli fondamentali della direttiva, di Paesi come Polonia e Ungheria, ma anche Francia e Germania.

Non è solo l’art 5 della bozza originaria della direttiva ad essere stato cassato, quello cioè che prevedeva la definizione di stupro come rapporto sessuale senza consenso, su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione dei media e che sarebbe stato eliminato perché quegli Stati hanno sostenuto che l’Unione non avrebbe competenza legislativa in questa materia. Posizione superabile a detta di molti/e giuristi/e, perché lo stupro sarebbe riconducibile allo sfruttamento sessuale che è un reato di competenza dell’Ue. Vedi le dichiarazioni della magistrata Maria Grazia Giammarinaro che dice: “lo sfruttamento non è più inteso solo come vantaggio ingiusto (di carattere economico o di altro genere) derivante da una prestazione altrui, sessuale o lavorativa, o di altro tipo, ma finisce col comprendere qualunque uso strumentale di un’altra persona, realizzato allo scopo di perseguire una finalità propria di chi commette la strumentalizzazione, ed estranea alla volontà della vittima”.

Grave anche aver eliminato l’art 4, che prevedeva l’inserimento della definizione di molestie sessuali nel mondo del lavoro. Così come aver previsto che la vittima di violenze sui social o sul web debba provare il danno subito dalla circolazione e la diffusione di immagini sessualmente esplicite.

A nulla sono valse le prese di posizione di molte attiviste in tutta Europa per cercare di convincere i governi dei loro Paesi ad assumere posizioni più nette e più tutelanti per le donne. In Italia una petizione lanciata dall’associazione Differenza Donna che chiedeva di mantenere il testo approvato dal Parlamento ha ottenuto più di 85.000 firme in pochi giorni. A nulla è valso il grande lavoro fatto in questi anni da Pina Picierno, Vice Presidente del Parlamento europeo, nonché relatrice italiana della direttiva, che si è spesa difendendo il testo originario e che si è detta molto amareggiata e delusa per questo compromesso al ribasso: ha parlato di “una giornata triste per le politiche di genere e per i diritti. La direttiva europea contro la violenza sulle donne esce dall’ultimo giro di negoziati con una versione ridimensionata e indebolita rispetto al testo varato nel 2022 dalla Commissione e poi rafforzata dal Parlamento Europeo. L’impianto complessivo è deludente e non coglie i punti sostanziali che avrebbero consentito un effettivo avanzamento delle tutele per le donne”. Sottolineando che “hanno prevalso alcuni interessi nazionali che affondano le radici in una cultura reazionaria, retrograda e retriva. Spiace che il governo italiano, guidato dalla premier donna Giorgia Meloni, non sia riuscito a esercitare in modo efficace il proprio peso negoziale, come ha spesso vantato di fare su altri dossier”.

La direttiva aveva come obiettivo che la violenza contro le donne fosse affrontata in modo indifferenziato nelle legislazioni e politiche degli Stati membri, perché sappiamo bene che la molteplicità di approcci crea incertezza giuridica rispetto ai diritti delle vittime in tutta l’Ue. Lo strumento strategico individuato è soprattutto il recepimento delle norme della Convenzione di Istanbul, ma questo principio oggi risulta disatteso nella direttiva così risultante dal negoziato interistituzionale.

Ancora una volta si è passati sul corpo delle donne, privilegiando interessi nazionali e bieche opportunità di fare alleanze elettorali, rendendo palese che la violenza contro le donne non è un tema prioritario di cui gli Stati e i governi hanno capito la portata, le radici, gli efficaci strumenti per il suo contrasto.

Ancora una volta il patriarcato, purtroppo anche praticato da alcune donne, ha avuto il sopravvento e quella che poteva essere una significativa presa di posizione dell’Europa è diventata invece un documento depauperato, impoverito, assottigliato, che non ci fa fare passi avanti e anzi ci riporta indietro.

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