di Vera Cuzzocrea*

In questi giorni il Consiglio europeo approva una Direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica che scatena malcontento. L’atteso rafforzamento delle strategie di tutela di una serie di diritti fondamentali fallisce a causa delle modifiche apportate al testo originario che era stato presentato dalla Commissione europea l’8 marzo 2022. E che piaceva perché metteva al centro il tema del consenso della vittima di stupro e riconosceva la portata offensiva dei reati sessuali nei luoghi di lavoro e nella rete.

Non stupisce pertanto la sensazione di aver perso l’occasione di sradicare false credenze sulla violenza. In particolare le vittime di stupro si tengono addosso, oltre alle conseguenze psicologiche del reato, spesso severe e durature, anche la responsabilità di dover dimostrare l’abuso subito. L’attuale testo cancella infatti l’articolo 5 del testo originario che conteneva la definizione di stupro come “atto compiuto senza il consenso volontario della donna o senza che la donna sia in grado di esprimere una libera volontà”; e sollecitava gli Stati membri a considerare che “l’assenza di consenso non può essere contestata sulla sola base del silenzio della donna, dell’assenza di resistenza verbale o fisica o del suo comportamento sessuale passato”.

Il contenuto stralciato avrebbe evitato la stigmatizzazione della reazione/non reazione della vittima. Perché la paura talvolta aiuta ad orientarsi e proteggersi, talvolta invece paralizza. E’ quello che – è dimostrato – spesso capita alle donne mentre subiscono uno stupro: vivono una sorta di paralisi che impedisce ogni forma di difesa. La percezione di pericolo scatena una reazione nel nostro cervello che compromette il processo decisionale e inibisce reazioni di difesa. E oltre a sopravvivere alle gravi conseguenze psicologiche dell’evento traumatico subito, la donna deve anche fronteggiare con se stessa e con il mondo circostante, contesto giudiziario compreso, il vissuto di colpa e la difficoltà per non aver reagito. E’ costretta a dimostrare qualcosa che talvolta non sa spiegare nemmeno a se stessa, a dimostrare di essere stata costretta a quell’atto sessuale che ha violato il suo corpo e la sua anima. Anche nel nostro Paese il reato di stupro ancora non si basa sul consenso, malgrado negli ultimi trent’anni molto sia stato fatto per la prevenzione e il contrasto di questi reati.

Eppure questa esigenza era stata già riconosciuta dalla Convenzione di Istanbul del 2011, il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, a cui l’Ue ha aderito nel 2023. E non è forse un caso che alcuni Stati ancora non l’abbiano ratificata, forse reticenti nel rispondere giuridicamente (e culturalmente) agli obblighi imposti. Aiuta a comprendere la mancata approvazione del testo originario della Direttiva. La mancata considerazione dello stupro senza consenso e di altre condotte – le “molestie sessuali nel mondo del lavoro” e la diffusione di immagini intime che non è riconosciuta come una forma di violenza di per sé, ma è tale solo se la vittima può dimostrare il danno grave – lascia impuniti reati che violano il diritto all’autodeterminazione di ognuno nella sfera della propria sessualità.

Comprensibile lo sdegno delle associazioni che si occupano di diritti delle donne e di diritti umani. Così come lo è la mobilitazione prevista per l’8 marzo davanti al Parlamento Europeo. Al di là del genere, come persone e come istituzioni. Perché il mancato ascolto di un bisogno e riconoscimento di un diritto è come una seconda vittimizzazione di cui tutti siamo responsabili. Il punto in cui siamo oggi è un nuovo inizio, più consapevole e rafforzato della rivoluzione culturale iniziata nel nostro Paese dagli anni ’80 a partire da Processo per stupro e culminata nella legge sulla violenza sessuale nel 1996. Speriamo porti tra cinque anni ad una revisione soddisfacente della direttiva. Nel frattempo, attiviamoci per promuovere con i bambini e le bambine una maggiore consapevolezza del rispetto del proprio e altrui corpo, dell’affettività e delle emozioni supportando famiglie, scuole e territori.

Per una cultura del rispetto della donna e della libertà individuale e sessuale che sappia meglio comprendere la violenza. Per una giustizia che sappia prevenire e contrastare garantendo effettiva protezione alle vittime. Di non dover dimostrare ma essere ascoltate anche nel silenzio.

*Psicologa e psicoterapeuta

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