La destra–destra ci ha abituato ad una retorica abbastanza pesante, anche in materia fiscale dove non sono mancati i paragoni molto forti. Il premio va naturalmente alla premier che ha battezzato le tasse come un pizzo di Stato, giustificando così il lassismo istituzionale nel campo della lotta all’evasione del suo governo, come abbiamo osservato altrove. Ora interviene un pezzo da novanta del governo, anche per la sua conoscenza dei meccanismi del fisco, il viceministro con delega fiscale Maurizio Leo, andando in una direzione formalmente opposta.

Con una inaspettata chiarezza il viceministro ha detto che l’evasione fiscale va paragonata al terrorismo, che, come è noto, in Italia è stato dolorosamente debellato. Nemmeno il progressista più radicale avrebbe tentato questo azzardo linguistico e concettuale. Anche perché, mentre i terroristi erano qualche sparuto migliaio, gli evasori, consideriamo solo quelli incalliti e seriali, sono qualche centinaia di migliaia secondo le statistiche ufficiali. Siamo dunque un paese di terroristi fiscali? Continuando con l’analogia, non penso che l’artigiano o il professionista ti puntino una pistola o un kalashnikov per indurti a non chiedere la fattura o ricevuta, risparmiando così un buon 60% di tasse tolte allo Stato. Non credo che il ministro intendesse questo. Più prosaicamente, e correttamente, voleva dire che un’evasione fiscale così alta e di massa distrugge le fondamenta dello stato democratico, esattamente come volevano fare i terroristi di destra e di sinistra. Pensiero, questo, del tutto condivisibile anche perché i cittadini-evasori usufruiscono dei servizi pubblici come tutti gli altri ma senza pagare.

Certamente non si è trattato di un accostamento casuale ma semmai di un’operazione mediatica ben studiata. Dopo aver favorito il popolo degli evasori a 360 gradi, con condoni e norme ad hoc, ora il governo tuona contro di essa per ripulirsi un poco la coscienza e per frastornare l’opinione pubblica. Lacrime di coccodrillo insomma. Comunque meglio tardi che mai e questo tragico accostamento ora, arrivando dal viceministro, potrà essere usato da tutti.

Che si tratti di un espediente mediatico ad uso e consumo dell’opinione pubblica, tanto fumo e poco arrosto, si può intravvedere negli strumenti che il viceministro indica contro questo pervicace terrorismo fiscale. I nuovi terroristi vanno rintracciati nei loro tipici luoghi di raduno come hotel di lusso, ristoranti stellati o vacanze da sogno. Ecco quindi che la lotta all’evasione fiscale si dovrebbe
fare andando a spiare l’evasore nei social dove è solito vantare la sua ricchezza.
Un po’ come accade con i mafiosi che spesso sono traditi dai social. Tra l’altro, questo mi ricorda un blitz della Guardia di Finanza a Cortina nell’inverno del 2011. Allora l’operazione fu criticata da tutti. Ora pare che la destra-destra abbia cambiato opinione. Un capitolo poi quanto mai aperto perché su questo punto ci sono delle ovvie frizioni con l’autorità per la protezione dei dati personali che sta ponendo dei paletti ben precisi e anzi uno stop all’attività investigativa social dei controllori fiscali.

Quanto porterà nelle casse dello Stato la caccia all’evasore nei ristoranti e negli alberghi è presto per dirlo, ma è un capitolo nuovo ed interessante del tema. Se veramente il viceministro volesse portare la caccia all’evasione dal mondo virtuale dei social a quello reale potrebbe agire in maniera più pragmatica, sempre andando a cercare le manifestazioni indirette di ricchezza, in questo caso il patrimonio. Infatti il reddito sfugge, perché mobile, ma il patrimonio no. Ecco allora che si potrebbe, per esempio, aggiornare il catasto urbano dei redditi. L’adeguamento delle rendite potrebbe realizzare immediatamente quella caccia all’evasore-terrorista evocata dal viceministro. È noto infatti che il tipico terrorista fiscale ama possedere case confortevoli e ampie, specialmente se hanno una modesta classificazione erariale. Questo progetto è stato ostacolato dalla destra da sempre, ma nel nuovo clima di lotta senza quartiere all’evasore potrebbe tornare di attualità. Così si potrebbero recuperare molti miliardi senza tassare i cittadini onesti.

Una seconda strada è la reintroduzione dell’imposta di successione. Come è noto i beni materiali non si possono traghettare nell’aldilà e in questo modo una parte dei redditi sottratti ad arte al fisco, e passati agli eredi, potrebbe tornare a disposizione della collettività. Anche qui niente di rivoluzionario. Suggerisco il modello tedesco che tassa i lasciti dei benestanti e consente di recuperare un gettito interessante. Quindi, il ministro potrebbe fare un buon servizio senza andare a caccia di ipotetici evasori sui social.

Se l’evasione fiscale è un atto di terrorismo economico come è scappato di dire al viceministro, va certamente estirpato con forza. Servono provvedimenti drastici, per esempio l’innalzamento delle pene. Qui il viceministro si è messo, con un certo coraggio, in una posizione scomoda. Se non fa nulla, può essere accusato, politicamente, di inerzia condiscendente. Se invece vuole seriamente combattere l’evasione si mette contro la Presidente del Consiglio che non ha ancora capito che la legalità, che tanto sbandiera ad ogni piè sospinto, comincia nel campo fiscale.

Se siamo nel mezzo di una bolla mediatica pre-elettorale nel variegato mondo della destra oppure qualcosa di serio bolle in pentola, è presto per dirlo. Comunque un fatto è certo: Italia e Grecia sono i paesi a più alto debito nell’Ue e a più alta (quasi) evasione fiscale. Una coincidenza? Non credo. Comunque se nella caccia a chi non vuole pagare le tasse invece di partire dal reddito e dai beni sottratti si parte dai ristoranti, dalle vacanze o dai Suv, la strada non mi sembra quella più adatta, ma va bene così. Anche a destra c’è una nuova consapevolezza che la festa per gli evasori, forse, deve finire. Solo per questo – ritengo – dovremmo essere grati, per una volta, al viceministro Leo.

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