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Patate e trattori nel centro di Napoli: caro Lollobrigida, mancava solo lei

Patate e trattori nel centro di Napoli: caro Lollobrigida, mancava solo lei
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Caro ministro Lollo,

l’aspettavo per il ballo Cocoodé, vestito da gallo cedrone agitando piume e cresta. Anzi, lei già appartiene alla categoria per diritto di superbia e arroganza. Da ministro dell’Agricoltura, molto caro alla lobby degli agricoltori, avrebbe dovuto dire NO. E NO. Diamo retta al ministro Sangiuliano: rispetto dei luoghi all’altezza della storia che rappresentano. Invece la ruspante comunità di contadini rappresenta un bel serbatoio di voti. So bene che il Comune ha autorizzato il cafonal/mangereccio in piazza Municipio, il cuore amministrativo di Napoli, ma le nostre autorità sensibili al soldo e non al bene comune, hanno lo stomaco di ferro e digeriscono tutto. Fra ricchi premi e cotillon speciale hanno concesso anche che si allungassero fino all’austero Palazzo San Giacomo sotto la finestra del sindaco. Ci mancava solo che apparecchiassero la grande abbuffata sulla scrivania del primo cittadino. Un grande rutto in faccia alla città.

La Sovrintendenza di tutela al patrimonio artistico ancora una volta è pagata per non fare il suo lavoro. Immaginatevi adesso 1500 autobus che hanno vomitato sul villaggio contadino 10mila visitatori in un solo giorno, non uno qualsiasi ma il weekendone dell’Immacolata, dove la città era già straripante di distrut/turisti. Una saga di paese per vendere patate e trattori nella città d’arte tra le più belle del mondo, in una piazza restituita ai cittadini dopo 25 anni di lavori in corso e non ancora finiti per completare la piazza urbanisticamente ri/nata brutta. E come se Venezia ospitasse la verace manifestazione in piazza San Marco.

Ci hanno provato quelli di Coldiretti a piazzarsi qualche anno fa intorno a Palazzo Sforzesco di Milano. Il Grande Errore dell’amministrazione comunale non si è più ripetuto.

Mortificato ne esce anche il Mercadante, il teatro stabile della città, con splendida facciata neoclassica sul magna/magnificio Coldiretti. Roberto Andò, direttore artistico, ha messo su un Grande Cartellone Ecco il docu Lucio Amelio, dedicato al gallerista napoletano, che ha inteso la sua vita come un’opera d’arte. Anche se nato senza arte e né parte e poi dell’arte contemporanea è diventato il più grande influencer. Ha portato Napoli alla ribalta internazionale e ha portato artisti internazionali a Napoli. Ha voluto Terrae motus e all’indomani del terremoto del 1980 chiamò i più grandi artisti, tra cui Andy Warhol e Joseph Beuys, per trasformare la catastrofe del sisma in una mostra permanente, oggi alla Reggia di Caserta. Visto che nessuno é profeta in patria e Napoli gli negò il suo museo. L’Aids lo portò via troppo presto. La scena finale del docu firmato da Nicoangelo Gelormini lascia tante sedie vuote, al posto di tante voci. Ne mancava una, quella di Eduardo Cicelyn, grande amico di Lucio, gallerista ma soprattutto spirito libero. Lo ha assistito fino all’ultimo respiro. Lo ha infilato nella bara, troppo piccola per contenere un Grande Uomo. Ha dovuto piegargli le gambe. Cicelyn mette a fuoco Amelio, un prisma dalle fantasmagoriche sfaccettature, nel suo ultimo saggio: Quarantena Napoletana (Neri Pozza) con inedite illustrazioni di Francesco Clemente. Una lettura che vale 10 documentari.

Immaginatevi adesso nelle stesse ore in cui i contadini si davano al bal dell’aia (categoria che amo, ma non quando “crocchiano” in piazza Municipio) a poche centinaia di metri la Prima della Stagione Lirica del Teatro, un’assoluta Turandot messa in scena dal regista Vasily Barkhatov, il Quentin Tarantino della drammaturgia mondiale, con parterre internazionale da ogni dove.

Ancora uno sforzo di immaginazione. Due prime donne del teatro, Irina Brook, figlia del maestro Peter Brook, e Pamela Villoresi che quest’anno festeggia il suo giubileo, 50 meravigliosi anni di teatro, debuttano al Teatro Mercadante. Si trovano davanti all’ossatura di quel che resta del magnificio Coldiretti. Dopo quattro giorni è ancora lì. Con Seagull Dreams, ispirato a Cechov, Irina Brook, la regista, mette a fuoco la sua intensa riflessione sul teatro, laboratorio di sentimenti intimi sacrificati sull’altare del palcoscenico.

Tra grandi inquietudini, privazioni e umiliazioni le “vecchie glorie” sul viale del tramonto lasciano un carico ingombrante alle nuove generazioni.

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