Gianni Letta ha detto sul premierato ciò che in Forza Italia molti pensano ma non possono dire. Non solo perché la riforma ad alcuni convince poco. E qui si aggancia la critica tutta politica avanzata da Letta. Ovvero che la riforma “ridurrebbe i poteri del presidente della Repubblica, perché la forza che deriva da un’investitura popolare è certamente maggiore di quella che arriva dal Parlamento”. Molti tra i berluscones condividono il Letta-pensiero e il fatto che “i poteri del Colle vanno lasciati così come sono”. Ma soprattutto perché la critica al premierato, la “madre di tutte le riforme” per la leader di FdI, aggruma intorno a sé i critici a Giorgia Meloni. In primis, l’area che si riconosce intorno a Licia Ronzulli, da poco costretta a lasciare il ruolo di capogruppo al Senato per fare spazio a Maurizio Gasparri.

Ronzulli e i suoi non hanno per niente dimenticato gli sgarbi della premier nei loro confronti, come escludere Licia dalla squadra di governo nel segno del “o me o lei”, sparato in faccia a Silvio Berlusconi nei giorni in cui si andava formando la compagine dell’esecutivo. Più tutta una serie di sgambetti, come aver dato la benedizione al repulisti interno, coi ronzulliani fatti fuori da tutto, nei palazzi romani come in Lombardia, per mano dell’allora potente Marta Fascina e da Antonio Tajani. Così ogni occasione è buona per mettere il bastone tra le ruote di Giorgia. Non fatti eclatanti, che rischiano di attirare troppe critiche, ma una costante guerriglia sotterranea. E infatti, dopo che Tajani è stato costretto a sconfessare l’ex braccio destro di Berlusconi giurando la propria fedeltà al premierato targato Meloni, è stato proprio il ronzulliano Giorgio Mulè a fare da sponda al “dottor Letta”. “Le sue parole vanno lette con il rispetto che si deve alla sua figura e non strumentalizzate. E’ un uomo delle istituzioni, non di parte. Le sue riflessioni vanno valutate e approfondite, com’è giusto che debba fare il Parlamento davanti a una riforma costituzionale”, fa sapere il vicepresidente della Camera. Insomma, nulla è scolpito nella pietra, il premierato di Giorgia andrà all’esame del Parlamento e vedremo cosa accadrà. Facendo sottintendere che qualche modifica andrà fatta. Ben altro tono rispetto alla difesa d’ufficio della riforma espressa immediatamente dal ministro degli Esteri, ma pure da Elisabetta Casellati, secondo cui “le parole di Letta sono state travisate”.

Dunque, quando la riforma arriverà in commissione e poi in Aula, nulla si potrà dare per scontato. Da qui il nervosismo di Meloni, che da un lato si ritrova un Matteo Salvini pronto a legare la fedeltà al premierato unicamente al proseguimento dell’autonomia regionale, e ora pure una Forza Italia non più controllabile. Un guaio, visto anche i risicatissimi numeri di maggioranza nelle commissioni affari costituzionali di Montecitorio e Palazzo Madama.

Ma di fronte alle parole di Letta alla premier sono scattati più campanelli d’allarme. Per esempio, il rischio di avere contro la riforma l’alta burocrazia, il sottopotere e i grand commis di Stato, mondi con cui Gianni Letta è in costante contatto. Oppure che sia un segnale in arrivo da Arcore, perché comunque “il dottor Letta” ha sempre il telefono raggiungibile per le chiamate in arrivo dalla famiglia Berlusconi. Sarebbe comunque una sconfitta se le due riforme messe in campo dal governo – premierato e autonomia regionale – dovessero diventare preda delle trappole parlamentari della sua stessa maggioranza.

Sullo sfondo, il congresso di Forza Italia a febbraio dove, se la leadership di Antonio Tajani non è a rischio, bisogna anche vedere con quanti margini sarà ottenuta. E a quanti posti punterà l’ala ronzulliana che, dopo la sconfitta incassata in Senato da Licia, non è disposta a ingoiare altri rospi nel segno dell’unità del partito e della fedeltà all’esecutivo.

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