Si ritrovano nella stessa aula dopo cinque anni e Michael Cohen, l’ex legale di Donald Trump, sale sul banco dei testimoni nel processo contro l’ex presidente a New York per il valore degli asset gonfiati. “Mi ha ordinato di gonfiarlo al livello che arbitrariamente decideva”, ha dichiarato rispetto al suo ex capo. Che, dalla stessa aula davanti alle telecamere non gli risparmia critiche. “Non c’è nulla da preoccuparsi sulla sua testimonianza“, ha detto l’ex presidente americano spiegando che i precedenti di Cohen sono talmente brutti da minarne la credibilità.

L’inchiesta – Ed è proprio dalla testimonianza dell’ex faccendiere del magnate che ha avuto origine questa inchiesta. La procuratrice generale di New York Letitia James ha accusato lui e due suoi figli, Donald Jr ed Eric, di aver gonfiato per un decennio di oltre due miliardi di dollari il valore degli asset della Trump Organization per ottenere migliori condizioni da banche e assicurazioni. Il giudice del processo Arthur Engoron ha già riconosciuto i tre Trump “responsabili di frode”, ora si tratta di esaminare altre sei accuse e di stabilire l’entità della pena. La pm ha chiesto una sanzione di 250 milioni di dollari (tanti quanti ne sarebbero stati guadagnati illegalmente con le false dichiarazioni finanziarie) e il bando della holding di famiglia nello Stato di New York.

Accusa e difesa – In passato Cohen ha spiegato che Trump voleva essere pubblicamente riconosciuto come uno che aveva un certo patrimonio netto e che il lavoro di Cohen, così come quello dell’ex direttore finanziario della Trump Organization, Allen Weisselberg, era di “rivedere” il valore di ciascuno dei beni del tycoon per arrivare a quella cifra. La difesa ha invece assicurato che The Donald non ha commesso alcuna irregolarità, non aveva alcuna intenzione di frodare, ha pagato ogni debito. E che la stima degli asset è sempre opinabile. La battaglia in aula si concluderà entro il 22 dicembre e sarà combattuta anche a colpi di decine di testimoni, da Trump ai figli (Ivanka compresa).

I guai giudiziari – Il tycoon era già stato altre volte quest’anno a palazzo di giustizia: nella prima era stato condannato per aver diffamato e commesso abusi ai danni della scrittrice Jean Carroll, nella seconda era stato rinviato a giudizio per aver pagato il silenzio di due pornostar. Ma questo processo civile (senza giuria) che si trova ad affrontare è ben più insidioso perché rischia di compromettere l’immagine di imprenditore scaltro e di successo che si è costruito negli anni, trasformando poi un brand imprenditoriale in un brand politico. Col rischio di mettere a repentaglio il suo vasto impero immobiliare e la capacità di continuare a fare business, di cui è già stato privato parzialmente nell’Empire State.

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